Rimini. Bancarotta distrattiva, Gianni Celli rinviato a giudizio

Rimini

L’imprenditore edile, fondatore ed ex editore del quotidiano romagnolo “La Voce”, Gianni Celli, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di bancarotta. Si tratta degli sviluppi di una “costola” del principale procedimento legato a sua volta alla galassia delle società di cui si occupava all’epoca dei fatti. Sarà processato nell’ambito di questo filone parallelo, a partire dal mese di febbraio 2021. Ha invece definito la propria posizione con un patteggiamento alla pena, sospesa, di un anno e sei mesi un altro co-imputato: Donato Scrocco, 59 anni, amministratore di una cooperativa edilizia (difeso dall’avvocato Massimo Melillo). Ammanchi e finanziamenti ad altre società del gruppo (partecipate, collegate o comunque riconducibili a Celli) erano stati segnalati dai vari curatori fallimentari: per l’accusa (rappresentata dal pubblico ministero Luca Bertuzzi), l’imprenditore avrebbe distratto circa un milione e duecentomila euro. Celli, difeso dagli avvocati Alessandro Catrani e Nicola Mazzacuva, a novembre dovrà affrontare invece l’udienza preliminare del principale filone d’inchiesta nel quale si deciderà se processarlo o meno, oltre che per le accuse di bancarotta fraudolenta e distrattiva “infragruppo”, anche per episodi di falsi in bilancio e malversazione ai danni dello Stato. Con lui rischiano il processo, a vario titolo, altre tre persone. Secondo l’imprenditore verucchiese, all’epoca in cui ricopriva il ruolo di amministratore della società editrice del giornale, avrebbe distratto e dirottato alle altre aziende impegnate nel settore edilizio-immobiliare somme di denaro per più di tre milioni di euro, per lo più frutto di finanziamenti pubblici per l’editoria. Si tratta - secondo la ricostruzione del pm Bertuzzi e degli investigatori della Guardia di finanza - di somme mai restituite dalle società “altre” (tutte via via fallite a loro volta come la capogruppo), e utilizzate per finalità diverse da quelle prefissate dallo Stato a sostegno del pluralismo dell’informazione (tra i creditori del fallimento della vecchia società editrice della “Voce”, figuravano giornalisti, grafici, fotografi e relativi istituti contributivi). Le parti offese individuate nel procedimento sono i curatori fallimentari Giuseppe Savioli, Andrea Buldrini, Elena Brozzi, Raffaella D’Elia e Lorenzo Casali.

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