Rimini, balli in discoteca con il bonus cultura: ricorso rigettato

Rimini

Continua il braccio di ferro tra le autorità e l’imprenditore della notte residente a Rimini accusato di avere incassato indebitamente novantamila euro destinati al bonus cultura per far ballare i diciottenni in discoteca. Forte delle condizioni fissate dal ministero per gli esercenti, relative all’anno 2018, l’indagato era convinto di poter far valere le proprie ragioni dopo che la guardia di finanza di Rimini coordinata dal pubblico ministero Luca Bertuzzi lo aveva messo nel mirino. Il Tribunale del Riesame reale di Rimini ha invece rigettato il suo ricorso. «Aspetteremo le motivazioni» è il commento dell’avvocato Stefano Caroli. Il legale ha sostenuto la tesi che la vendita di biglietti di ingresso per musica in discoteca rientrava nelle ipotesi che rendevano lecito l’utilizzo del bonus cultura, almeno fino a periodo preso in considerazione dall’indagine. Il suo cliente avrebbe sfruttato la possibilità, attraverso la sua società al servizio di importanti locali della riviera, tra cui la Baia Imperiale, collegando anche il biglietto del concerto a pacchetti turistici da pagare a parte.
L’applicazione web che permette ai neomaggiorenni di ottenere 500 euro in buoni spesa (18app) può essere utilizzata per cinema, musica e concerti, festival culturali, libri, musei, monumenti e parchi, teatro e danza, corsi di musica, di teatro o di lingua straniera. L’iniziativa del Ministero per i beni e le attività culturali, che ha lo scopo di promuovere la cultura tra i giovani, lasciava margini di interpretazione almeno nella stesura del regolamento poi modificato. Inizialmente si era ipotizzato il reato di truffa ai danni dello Stato.
È stato però lo stesso Gip Manuel Bianchi, nell’accogliere la richiesta di sequestro preventivo da parte della procura, a evidenziare come a suo avviso il reato da contestare dovrebbe essere quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Le fatture contestate dalla guardia di finanza sono 106, emesse nel biennio 2018-2019 nei confronti del Mibac (ministero della Cultura) con la dicitura “Pagamento Buono” con l’indicazione del relativo codice bonus generato e l’importo. Sotto sequestro ci sono per adesso solo quote societarie (e circa 500 euro in contanti), ma la procura è intenzionata a cercare i soldi, secondo l’ipotesi accusatoria frutto di reato. Va ricordato che l’indagine è ancora soltanto all’inizio e l’interpretazione controversa.

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