Rimini: avvelenato col topicida, confessa la compagna 80enne

Rimini

«Sono stata io a dare il topicida al mio compagno di una vita». Si chiude con la confessione della donna, messa alle strette dai suoi stessi figli oltre che dagli investigatori, il giallo del pensionato avvelenato in casa a piccoli dosi e salvato in extremis dopo un ricovero per un’emorragia interna. In considerazione dell’età della signora, prossima agli ottanta anni, non è stata disposta nei suoi confronti alcune misura cautelare: è stata denunciata a piede libero con l’accusa di tentato omicidio aggravato (nella foto In piedi il comandante della squadra di pg dei carabinieri in Procura Luigi Prunella accanto al pubblico ministero Luca Bertuzzi).

Il movente
Il compagno con il quale conviveva da trenta anni non vive più sotto lo stesso tetto: non più autosufficiente è ricoverato in un istituto per una grave patologia degenerativa. Non sarebbe stata però l’incapacità di sopportare le sofferenze e l’inarrestabile decadimento fisico e cognitivo dell’uomo, a indurre la donna a cercare di togliergli la vita. «L’ho fatto per motivi economici, l’ho fatto perché, sbagliando, pensavo di potere aiutare i miei figli» avrebbe spiegato al luogotenente Luigi Prunella, comandante del nucleo dei carabinieri della procura.

La malattia del compagno, che necessita di assistenza continua, ha eroso il patrimonio di famiglia tanto che l’amministratore di sostegno che gestisce i beni del pensionato, per fare fronte alle spese, aveva deciso di mettere in vendita la casa dove attualmente vive uno dei due figli della donna, frutto di precedenti relazioni. Il testamento in favore della donna, scritto dal compagno quando era ancora nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, rischiava di diventare - con il trascorrere del tempo -  semplice carta straccia.

La signora, a un certo punto, deve avere pensato che  non fosse così riprovevole dal punto di vista morale mettere fine alla condizione di grave e irreversibile sofferenza del compagno, allettato e incapace di riconoscere i familiari, salvaguardando al tempo stesso i risparmi destinati ai figli (la legge italiana non concede attenuanti: in casi analoghi la Cassazione ha ribadito che il sentimento di compassione o di pietà è incompatibile con la condotta di soppressione della vita umana). Così ha acquistato la confezione di topicida e ha somministrato il prodotto all’uomo, a suo dire «per cinque volte»  in dosi leggermente crescenti, sostituendosi alle badanti nell’imboccare amorevolmente il paziente. «A volte mischiavo il topicida al cibo, altre glielo davo direttamente col cucchiaino». Quando lui ha rischiato di morire per un’improvvisa emorragia interna è emerso il sospetto dell’avvelenamento volontario. Le intercettazioni disposte dalla procura (titolare dell’indagine è il pubblico ministero Luca Bertuzzi) hanno chiarito che ha agito da sola, all’insaputa del resto della famiglia.

I suoi figli la incalzavano di continuo per cercare di capire, per primi, se fosse stata davvero capace di arrivare a tanto. «Mamma, se sei stata tu devi dirlo». Il procuratore capo Elisabetta Melotti ha riconosciuto l’atteggiamento collaborativo dell’intera famiglia, sconvolta per l’accaduto, nel corso delle indagini. L’indagata è difesa dall’avvocato Roberto Bertozzi.

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