Rimini, assalto alla moglie a colpi di mattarello: 8 anni e 10 mesi

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Colpì la moglie con il mattarello in preda all’ennesimo attacco di gelosia: la Corte d’Appello di Bologna, riunitasi in tempo di record (la prima sentenza è infatti datata 17 febbraio) ha confermato la condanna a otto anni e dieci mesi di reclusione per tentato omicidio inflitta dal giudice dell’udienza preliminare di Rimini Vinicio Cantarini dell’operaio albanese che massacrò la consorte nella cucina di casa. Anche i giudici di secondo grado non hanno avuto dubbi, così come il pubblico ministero Davide Ercolani che per il mancato uxoricida aveva chiesto 14 anni di reclusione. L’uomo, secondo l’accusa e gli accertamenti peritali, avrebbe potuto assassinarla se la donna, non si fosse protetta la testa con le braccia. La prova inconfutabile? I 40 giorni di prognosi per la frattura di entrambi gli arti superiori come sottolineato nella perizia medico-legale: il colpo sferrato alla testa all’altezza di una tempia, se avesse raggiunto il “bersaglio”, avrebbe potuto ucciderla. La Corte d’Appello ha anche confermato il risarcimento danni quantificato in sessantamila euro nei confronti della parte offesa costituitasi parte civile assieme alla sorella, con gli avvocati Fiorenzo e Alberto Alessi, gli stessi legali di Gessica Notaro, la ragazza sfregiata con l’acido. Tremila euro, invece, quelli per l’associazione antiviolenza “Gens Nova”, rappresentata in aula dall’avvocato Elena Fabbri.

Impazzito di gelosia

L’uomo, di cui anche questa volta non vengono rese pubbliche le generalità per difendere la privacy della donna, è ancora detenuto.

La violenta aggressione, come detto, risale al 21 ottobre 2019. Avvenne all’interno dell’abitazione della coppia, un appartamento di Rimini. Il mattarello insanguinato, abbandonato sul tavolo della cucina, era lungo un metro e aveva sei centimetri di diametro.

«Ho perso la testa in preda alla gelosia - disse l’uomo subito dopo la cattura da parte della polizia - L’ho colpita con il mattarello, ma non volevo ucciderla, né farle davvero del male: volevo solo che smettesse di parlare al cellulare e quando lei ha mollato il telefonino, mi sono concentrato su quello. L’ho portato in cucina e l’ho fatto in mille pezzi».

Il mancato uxoricida nel secondo processo a Bologna, è stato difeso dall’avvocato Massimiliano Orrù.

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