Sei anni di reclusione. È la condanna richiesta dal pubblico ministero Davide Ercolani per il direttore di un negozio d’abbigliamento, accusato d’aver molestato sessualmente tre commesse, che anziché veder rinnovati i loro contratti sono state costrette a licenziarsi o darsi malate per non subire più abusi ogni qualvolta si trovavano da sole con lui.
Sono state tutte e tre le vittime del 54enne, difeso di fiducia dall’avvocato Massimiliano Orrù, a chiedere aiuto alla alla seconda sezione della Squadra mobile della Questura di Rimini.
«Se vuoi che ti rinnovi il contratto alla prossima scadenza, vieni in bagno con me: io faccio un favore a te e tu ne fai uno a me!». Questa una delle frasi standard rivolte dal presunto maniaco alle giovani collaboratrici. «Ci molestava sessualmente, lo faceva di continuo senza darci tregua» ha ripetuto una delle tre quando è stata chiamata a testimoniare in aula, prima di scoppiare in un pianto a dirotto.
Dalle parole ai fatti
Hanno tenuto duro più che hanno potuto le ragazze che nel febbraio del 2020 quando il caso è venuto alla ribalta avevano 21, 24 e 28 anni. Per la più giovane, l’incubo è iniziato a metà maggio del 2019. La ragazza racconta che fin da subito il datore di lavoro ha iniziato a parlare esplicitamente di sesso e ad allungare le mani: palpamenti dei glutei, abbracci alle spalle con sfregamenti. Tra le richieste anche quella di mettere più spesso la gonna così quando saliva sulla scala avrebbe potuto vedere la biancheria intima che indossava. L’area del registratore di cassa e del bagno, i luoghi preferiti dal direttore per le molestie. Mentre entrava nella toilette, in piena estate, ha cercato di baciarla. Alla seconda vittima, invece, le «attenzioni ossessive a sfondo sessuale» ha provato a metterle in atto, per esempio, cercando con forza di entrare in bagno con lei e poi “offrendo” il suo aiuto per aprirle i pantaloni. «Spesso quando sono alla cassa – ha verbalizzato – viene dietro di me, mi abbraccia, mi stringe, strofina il suo pube; le sue mani passano in fretta dai fianchi ai glutei finché non riesco a liberarmi». Una mano smontata da un manichino, gliel’ha messa tra le gambe per simulare un rapporto sessuale. Ancora più “esplicite” «non sai cosa ti perdi», una frase tipo, per quanto riguarda le richieste verbali fatte alla più grande delle commesse anche con messaggi WhatsApp. La giovane donna, nella sua denuncia, aveva sottolineato come il “collega” fosse sempre stato ben attento ad allungare le mani quando in negozio c’erano solo loro. Agguati facilitati anche da un’altra circostanza: il sistema di videosorveglianza non era attivo. Le tre ragazze sono assistite dall’avvocato Stefano Caroli. La sentenza il 6 luglio.