Riflessioni sull'Italia dopo il 25 aprile

Perché l’Italia non riesce a trovare unità nemmeno nel giorno della liberazione dal fascismo e dal nazismo?
Perché, forse unico Paese in Occidente, non c’è da noi una memoria condivisa, una sola?
Perché ci sono troppe memorie, che si sovrappongono e, spesso, si elidono.
È un Paese dove si cambia idea, e va bene, può succedere, ma non quando si perde la memoria di quel che si pensava prima.
È un Paese che sa molto odiare, chi ha molto amato. È un Paese dove i vecchi compagni di ventura, diventano, facilmente nemici, per giustificare la nuova avventura. Si concede solo a se stessi di cambiare idea. Quando cambiano gli altri, sono traditori. Le memorie si moltiplicano e si confondono.

Nemmeno dopo la prima grande guerra l’Italia trovò un sentire comune. Anzi, quella tragedia incubò gli istinti, i veleni e le peggiori ideologie, che ci portarono al Biennio Rosso, 19-20 e poi al Biennio Nero e al Fascismo.
Solo subito dopo la seconda guerra mondiale, nel 1947, si trovò uno spirito comune, una saldezza ed una unità di intenti che ci portarono poi a scrivere la Costituzione. Durò poco. Nel 1948 le elezioni si svolsero in uno stato di guerra civile non armata. Avevamo una Costituzione comune ma una memoria divisa. Avevamo sconfitto il nazi-fascismo, tutti insieme, con l’aiuto decisivo degli angloamericani, ma, già questa verità non era riconosciuta da tutti. E nello stesso tempo convivevano scopi diversi.
I democristiani, i liberali, i socialdemocratici, una parte dei socialisti, volevano affermare in Italia la democrazia liberale, una parte dei socialisti e i comunisti, no. I primi si sentivano fortemente alternativi a tutti i totalitarismi ed alleati e amici degli americani, i secondi no.
I primi avevano partecipato alla guerra partigiana, ma erano consapevoli che senza gli americani non ce l’avremmo fatta, i secondi un po’ meno. I comunisti e una parte dei socialisti e dei cattolici di sinistra, cercarono, in gran parte riuscendoci, di santificare la guerra partigiana in chiave antifascista ma, meno, molto meno, in senso, nitidamente, antitotalitario. Cercarono di far propria, solo propria, quella memoria, che invece era e deve essere di tutti. Con liturgie e simboli non di tutti. La lotta partigiana come lotta di sinistra. Un errore. Queste sono un insieme di ragioni che si collocano sulla superficie terrena della storia.
Poi ci sono molte pulsioni da sottosuolo, antropologiche, sociologiche, politiche.
Pochi mesi prima della uccisione di Mussolini, il Duce tenne un discorso al teatro Lirico di Milano, non lontanissimo da piazzale Loreto, c’era una folla in adulazione. Pochi mesi dopo, a piazzale Loreto, c’era una folla che inveiva contro i cadaveri di Benito Mussolini e Claretta Petacci. Sputi, calci sul volto, insulti. Si avvicinò un camion e passò sul corpo di Mussolini, che sobbalzò. Poi appesero i due amanti a testa in giù. Poco dopo, lì vicino, fecero un processo sommario a Pavolini, lo fucilarono e fu appeso anche lui, di fianco a Claretta.
Quanti sono passati, dagli applausi del Lirico ai calci di piazzale Loreto? Quale memoria hanno tramandato?
E quali sono i percorsi umani, culturali, sociali , in Romagna ad esempio, che hanno prodotto, in un solo secolo, consenso di massa per il radicalismo massimalista di sinistra e subito dopo per il fascismo e mesi dopo, per il comunismo ed oggi per la Lega o per i 5stelle?
Quale memoria? Quante memorie?
La memoria è troppo spesso appesa al vento. Ed oggi c’è, di nuovo, un brutto vento. E avendo sostituito i partiti con gli algoritmi, il vento soffia anche più forte.
(*) già Parlamentare

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