Rientro a scuola: tra i banchi adattarsi alla nuova normalità

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Per tutti gli studenti fino a poco tempo fa esisteva una certezza: la scuola inizia a settembre e finisce a giugno. Da un paio di anni questo assunto sembra non avere più fondamento. È arrivato il covid a spazzare via ogni certezza. E anche quando la scuola ricomincia, non è detto che ci si senta in grado di andare. Di scuola, adolescenti e difficoltà ad andare a scuola parliamo con Francesco Rasponi, psicologo e psicoterapeuta esperto in adolescenti e tecnologia e coordinatore degli sportelli di ascolto di alcune scuole superiori di Cesena.

Dottor Rasponi, il rientro a scuola ha creato negli studenti qualche difficoltà?

«Dopo un anno e mezzo, in alcuni casi anche due, di DAD (didattica a distanza) il rientro a scuola è stato vissuto in maniera stressante da molti studenti. Molti di loro hanno fatto fatica a riadattarsi a un nuovo contesto, a confrontarsi con i compagni e con gli insegnanti nuovamente in presenza e a trovare un metodo di studio che differisce da quello a distanza. Se consideriamo che molti di loro hanno chiuso un ciclo di studi e aperto quello successivo durante la pandemia, il contesto in cui si sono ritrovati è doppiamente nuovo. I ragazzi sono stati chiamati, quindi, ad affrontare un processo evolutivo che in svariati casi, secondo il mio osservatorio e quello dei miei colleghi, ha evidenziato molte criticità. Negli ultimi mesi (sia alla fine dello scorso anno scolastico che all’inizio del nuovo) abbiamo assistito, infatti, a vari ritiri scolastici, oppure al passaggio a Istituti più semplici e meno impegnativi. Quella che è avvenuta è una vera e propria crisi d’identità scolastica».

Quali sono le cause più nel dettaglio?

«Specialmente chi ha avuto difficolta con la DAD ha perso fiducia nelle proprie capacità, nei propri mezzi, sviluppando insicurezza e incertezza, che talvolta si è trasformata in confusione e dubbi sul futuro. Un altro fattore fondamentale è la demotivazione: qual è il senso di quanto sta accadendo e di ciò che facciamo? Perché continuare a studiare? Per chi? Non tutti poi hanno reagito bene a una modalità di studio senza interazione e relazione umana se non mediata da uno schermo».

Quali sono stati, invece, i fattori protettivi di coloro che sono tornati più facilmente tra i banchi?

Da questo periodo storico usciamo tutti più fragili, ma chi lo era già prima lo è diventato ancora di più. Sembra banale dirlo, ma sicuramente la famiglia è stato il maggior fattore protettivo. Se però pensiamo che molte famiglie sono state colpite dal Covid, da un punto di vista economico (la perdita del lavoro) oppure direttamente attraverso la malattia o la morte di persone care, va da sé che molti ragazzi si sono trovati a condividere stress e dolori insieme ai propri genitori e a vivere in ambienti non propri sereni e stabili. A ciò aggiungiamo che per molti questi due anni sono coincisi con lo sviluppo adolescenziale e alle trasformazioni legate alle restrizioni si sono aggiunte quelle psicofisiche. Spesso a trovarsi in difficoltà sono stati soprattutto i genitori, che si sono ritrovati davanti a figli irriconoscibili».

È importante, quindi, concentrare lo sguardo anche sui genitori?

«Assolutamente sì. I genitori possono rivelarsi un elemento protettivo straordinario, ma anche contribuire al disorientamento dell’adolescente. Specie in questa fase, molti adulti non sanno più leggere e interpretate i comportamenti dei propri figli: c’è chi si preoccupa in maniera abnorme e va in crisi per qualsiasi elemento che si discosta da quella che si pensa dovrebbe essere la normalità e chi, invece, non riesce a vedere nemmeno i sintomi più evidenti di un malessere sempre più impellente che travolge e sconvolge il proprio figlio».

Come lo esprimono i ragazzi il malessere di andare a scuola?

Proprio con il ritiro scolastico, oppure saltando giorni di scuola, ma anche direttamente in classe, mostrandosi demotivati, disinteressati, con un atteggiamento che sembra intendere che tutto gli sia dovuto, come se ci fosse un danno da indennizzare. Molti ragazzi si chiedono come sia possibile che, dopo due anni a casa, i professori possano a essere così esigenti. Hanno vissuto una sorta di regressione e devono risintonizzarsi con i ritmi della scuola. Inoltre lamentano difficoltà di concentrazione, ansia per le prove e i compiti. Sono anche aumentati i disturbi del sonno. Molti di loro fanno fatica a perdere l’abitudine presa durante il lockdown di andare a dormire tardi».

Che cosa si può fare?

«Prima di tutto prendere seriamente in considerazione che non si tornerà più alla situazione precedente. Bisogna accettare questa nuova normalità. C’è bisogno di un grande confronto tra ragazzi, genitori e insegnanti, perché il contributo di ognuno può essere utile a interpretare questa realtà che sta cambiando. Stanno emergendo nuove forme di disagio che fino a qualche anno fa sembravano impensabili».

In quale modo possiamo creare un confronto produttivo?

«Intanto aumentando i momenti formativi e informativi con esperti come psicologi, sociologi, pedagogisti. Siamo in un’epoca in cui dobbiamo trovare nuovi strumenti interpretativi per esplorare un mondo in work in progress».

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