Riccione, uccise la moglie: “L’ho fatto per atto d’amore”. Il pm: “Solo egoismo”, chiesti 21 anni

Riccione
  • 15 aprile 2025

«Se oggi la signora Bernardini ci potesse vedere io credo che, se dovesse decidere dove sedersi, sarebbe al tavolo della difesa, perché sono convinto che non avrebbe voluto altro male per suo marito»: l’avvocato Alessandro Sarti ha concluso così, ieri pomeriggio di fronte alla Corte d’Assise in tribunale a Rimini, la propria arringa in difesa di Filippo Maini, 80enne ex infermiere a processo con l’accusa di omicidio volontario per avere ucciso la moglie Luisa Bernardini il 22 giugno del 2020 a Riccione. Un gesto disperato, aveva confessato l’uomo, che subito dopo aver soffocato la coniuge - stordita anche da un mix di farmaci - tentò di togliersi la vita con quegli stessi medicinali, affidando ad un biglietto le spiegazioni di quello che definiva “un atto d’amore”: la moglie, affetta da una demenza senile sempre più invalidante, gli avrebbe espresso la volontà di andarsene per sempre, insieme, in un momento di lucidità. Una ricostruzione, questa, che la difesa ieri ha ribadito alla Corte, sostenendo che Maini sia da giudicare non per il reato di omicidio volontario aggravato, come recita il capo d’imputazione elaborato dal pubblico ministero Luca Bertuzzi, bensì per “omicidio del consenziente”, fattispecie che prevede pene inferiori, dai 6 ai 15 anni di reclusione.

Il nodo da sciogliere

Il nodo del processo sta tutto nello stabilire se la signora Bernardini avesse veramente manifestato al marito il desiderio di morire e - in tal caso - se questa volontà fosse stata formulata dalla donna in piena coscienza. A detta dell’avvocato Sarti concorrono a definire questo quadro, oltre allo stesso biglietto di pugno di Maini, diverse testimonianze, comprese quelle dei figli della coppia, secondo le quali Luisa Bernardini avrebbe più volte nel corso dei decenni espresso tale risoluzione, anche sulla scorta dell’esperienza della madre, pure lei affetta da una malattia degenerativa. Ma non solo: lo stesso tentato suicidio di Maini (su cui la Procura adombra l’ipotesi della simulazione) proverebbe che l’intento della coppia era quello di morire l’uno accanto all’altra. E, qualora l’80enne avesse frainteso la volontà della morte, secondo la difesa si aprirebbe uno spiraglio per sollevare una complessa questione di legittimità costituzionale circa l’assorbimento di casi come quello al centro del dibattimento sotto l’ombrello dell’omicidio volontario. Un punto che dà la misura non solo della complessità della vicenda, ma anche delle lacune che ancora sconta il diritto in materia di fine vita.

«Omicidio narcisistico»

L’accusa dissente pressoché totalmente da tale ricostruzione: nella sua requisitoria, il pm Bertuzzi ha infatti sostenuto che la signora Bernardini non sarebbe mai stata in grado di prestare il consenso alla propria morte in quanto «non lucida» a causa della malattia. Nella tesi accusatoria, quindi, quello compiuto dall’ex infermiere «non è un omicidio altruistico né pietistico», bensì «un omicidio dettato da una natura narcisistica, non un atto d’amore, ma di egoismo, perché Maini non riusciva più a sopportare di vedere la moglie in quello stato». La richiesta di condanna da parte della Procura è stata di 21 anni, mentre la difesa - calcolate anche le attenuanti e il rito abbreviato non consentito per l’accusa di omicidio volontario - ha chiesto 4 anni con sospensione condizionale della pena. M.D.

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