Profughe ucraine: assunte in 150 negli alberghi di Rimini e Riccione

Riccione

«Profughe ucraine, al via 150 assunzioni in hotel». Si apre uno spiraglio per gli albergatori della Riviera che continuano a denunciare una delle più gravi emergenze di sempre nel reclutamento di personale stagionale. A segnalare il giro di boa è Giosué Salomone, presidente di “Riviera sicura”. «Siamo riusciti ad assicurare un lavoro nei nostri hotel a 150 ucraine. Dati alla mano, si tratta al 95 per cento di strutture dislocate a Rimini e soltanto per una piccola percentuale nella Perla verde». È ancora presto per festeggiare. «Nonostante ci sia un numero ancora alto di rifugiati nel riminese da collocare, stiamo incontrando qualche difficoltà a proseguire sul fronte assunzioni», rivela evidenziando il motivo: «Quasi tutte le donne alla ricerca di un lavoro sono mamme sole con figli anche molto piccoli. Il problema da fronteggiare è dunque non indifferente. Resta da stabilire a chi far accudire i bambini nel corso delle giornate lavorative di un’intera stagione».

Ipotesi asili autogestiti

“Riviera sicura” però non intende gettare la spugna e va a caccia di idee. «Stiamo ipotizzando varie soluzioni, in primis la creazione di asili autogestiti, da far coordinare proprio ad alcune di queste mamme garantendo un baby sitting in lingua ucraina per tutta la giornata, considerando i diversi turni in cui sarà impegnata ogni mamma». Una proposta tuttavia ancora in via di definizione, rimarca, vista la complessità contro cui rischia di incagliarsi, «dalla ricerca di spazi idonei alle inevitabili spese da affrontare». Al riguardo Salomone sottolinea che l’ideale sarebbe stato tutto un altro scenario. «L’amministrazione comunale avrebbe forse potuto ideare e mettere in cantiere una progettazione del genere, in quanto realtà socialmente molto utile con un impatto positivo non solo sulla vita di alcune donne ma a pioggia anche sul tessuto economico turistico romagnolo che ne risulterebbe agevolato nel complesso. L’istituzione di asili - ribadisce - ci consentirebbe di assumere ancora più profughe che peraltro desiderano lavorare e rendersi utili».

Ruoli ritagliati ad hoc

Intanto non parlare la lingua italiana o cominciare appena a masticarla con buona volontà non costituirebbe un ostacolo a parere di Salomone, viste le posizioni che questa fetta di personale va a coprire. «Al 90 per cento dei profili professionali coinvolti si parla di lavoro ai piani, ruolo che - afferma - non comporta la necessità di interfacciarsi con gli ospiti della struttura ricettiva. Del resto sono previste come alternativa mansioni del tipo “aiuto cucina” e “lavapiatti”, per cui vale lo stesso identico ragionamento. Diventa invece improponibile la candidatura per altre posizioni, a partire da quella di cameriera di sala che, se non padroneggia l’italiano, non può neanche dare indicazioni sul menu alla clientela, né far fronte a richieste particolari, né a eventuali imprevisti».

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