Morì alla notte Rosa, sfregiata la lapide a Riccione

RICCIONE. Non c’è pace per Vadim Piccione, il giovane ravennate morto in circostanze mai chiarite a Riccione durante la Notte Rosa 2012, né per il padre Giuseppe che, assistito dall’avvocato Sonia Raimondi, per la terza volta ha ottenuto la riapertura del caso dalla procura di Rimini. La lapide che ricorda il giovane dove fu ritrovato il cadavere, sulla riva del Marano, è stata sfregiata per la terza volta nel giro di pochi anni (sempre in corrispondenza con articoli di giornale). Stavolta però sarà difficile liquidare la faccenda come l’opera di vandali. «Non credevo ai miei occhi - racconta scosso il padre del ragazzo - sulla parte superiore della lapide è comparso uno strano oggetto, una specie di lisca di pesce in plastica, probabilmente un’esca, con degli ami, appesa a una fascia elastica di colore nero, quasi a lutto». L’uomo, un operaio di origine siciliana, legge nel gesto inquietante un messaggio intimidatorio. «Mi consigliano di stare muto come un pesce, invece di battermi per la verità? C’è chi mi ha fatto notare anche come l’espressione dorme coi pesci faccia parte anche dell’immaginario dei film mafiosi...». Difficile dargli torto. «Ho già sporto denuncia in questura, ma prima ancora ho invitato il comandante della polizia municipale di Riccione a visionare le telecamere di sorveglianza della zona per tentare di identificazione l’autore, così da capire anche le sue intenzioni». Giuseppe Piccione è abituato a convivere con il dolore, ma non è tipo da tirarsi indietro, specie ora che la sua ostinazione potrebbe dare i suoi frutti. «Vorrei che tutti sappiano che non saranno certo atti intimidatori come questo a fermare la nostra opera di ricerca della verità: siamo certi che Vadim non sia morto annegato e che quella notte sia successo qualcosa di diverso che può aver concorso alla sua fine». Vadim aveva un edema al collo, delle escoriazioni precedenti alla morte nelle ginocchia e nei gomiti, ma soprattutto il consulente medico della famiglia ritiene l’ipotesi di annegamento improbabile («per l’assenza di fungo schiumoso alla compressione del torace e l’assenza di liquido nello stomaco»), ed è convinto che risulti «possibile arrivare all’esclusione dell’annegamento come causa di morte attraverso una revisione dei preparati istologici». Come ricordato più volte, il cadavere del giovane fu avvistato nel canale solo a distanza di ore dal decesso, con il telefonino che inspiegabilmente a un certo punto aveva ripreso a squillare, e infine la salma fu poi “rimpallata” per 48 ore tra l’obitorio e il cimitero: un disguido che impedì di effettuare l’autopsia. Una serie di coincidenze negative fa sì che, a distanza di anni dalla tragica Notte rosa del 2012, siano ancora aperti tanti interrogativi sulla sorte di Vadim. Il Gip ha disposto nuovi interrogatori, ma Giuseppe Piccione chiede anche quello che anche stavolta è invece lasciato alla discrezione del pm. «Supplico la procura di studiare attentamente gli atti e di concederci il riesame dei reperti biologici che potranno dimostrare ciò che noi sosteniamo e cioè che Vadim non è morto annegato. Lo dico con il più profondo rispetto per le istituzioni, ma questa per noi è una grossa opportunità per fare chiarezza ed è quello per cui lavoriamo con tanta dedizione e determinazione da sette anni».

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