In Siberia in bici: "Nel mese più freddo del posto più freddo del mondo"

Riccione

Un riccionese oltre il circolo polare artico. Una tratta di 1.200 chilometri attraverso la Siberia, in sella ad una bici, sfidando temperature che scendono sino a -60 gradi con umidità dell’85%. Questa l’impresa che Stefano Gregoretti sta affrontando insieme a Dino Lanzaretti: si va da Ojmjakon fino a Verchojansk, i due villaggi siberiani che si contendono il guinness del luogo abitato più freddo al mondo. Solo il primo “step” di un’avventura che continuerà in estate, remando in sup per 750 chilometri lungo il fiume Yena da Verchojansk fino all’oceano Artico. Ora i due atleti sono a caccia di record, perché il loro è il viaggio su due ruote più al gelo mai tentato sino ad ora. Fondamentale però come la bussola, resta la volontà di testimoniare i cambiamenti climatici che sconvolgono il pianeta. I due si affidano ai social per raccontare un’esperienza al limite della sopravvivenza con foto di paesaggi mozzafiato e riflessioni che sconfinano nella poesia.

La sfida impossibile

«Ciò che succederà – sottolinea Gregoretti – seguirà il volere della natura e la nostra capacità di prevederlo. Siamo partiti con cibo per più di venti giorni: la qualità della nostra vita dipenderà da quanta legna secca troveremo e se la troveremo. Non oso dire che sfiderò la natura ma le mie convinzioni certamente». Nel frattempo tra ghiaccio e imprevisti le certezze diventano relative, perché persino con pendenze al 9% si vedono costretti a spingere a mano le bici. Quanto duri un chilometro non è chiaro e persino un minuto può durare una vita. «Devi avere sempre freddo, – spiega il riccionese – è l’indicatore che non stai sudando. Se ti bagni di sudore invece la dispersione di calore è fuori controllo e l’ipotermia dietro l’angolo». La via d’uscita? «Trovare l’equilibrio nel disagio ripetuto, ancora e ancora». Fermo restando che ci sono giorni più difficili di altri. «Siamo venuti fino a qua per una traversata epica e forse impossibile, su strade e piste appena accennate. Tratte infinite senza alcun abitato anche per centinaia di chilometri, nel mese più freddo del posto più freddo al mondo». Nessun ripensamento tuttavia sul mezzo prescelto che ristudiato per l’occasione «ha un nome che evoca libertà». Certo è, aggiunge, che è impossibile rianimare qualunque veicolo se «catturato dal gelo polare», perciò «occorre saper suonare lo spartito della sopravvivenza e avere gli strumenti capaci di creare una sinfonia».

La sopravvivenza

La piccola stufa in titanio, ad esempio, «non è una sciccheria per tenersi caldi (e comunque -38º in tenda) ma per sciogliere la neve con cui reidratarsi e reidratare i pasti. Altri fornelli moderni infatti, puntualizza, non funzionano, poiché la «benzina congela a -48º C e il propano molto ma molto prima». Non è solo ciclismo, dunque, ma un esercizio di sopravvivenza. E ogni volta che la natura gli dà uno strattone al braccio, bisbigliando perentoria “adesso basta”, quel monito lo inorgoglisce. Perché, nota l’indomito esploratore, mi permette di «continuare il dialogo interiore con l’immenso, con la bellezza di pezzi di mondo che forse ancora per poco siamo riusciti a non guastare» facendolo sentire un privilegiato.

La Siberia

In Siberia «non c’è niente – rivela – ore di luce pochissime. Non ci sono impronte di animali, né uccelli. Li diamo sempre per scontati». Non ci sono neppure confini. «Solo boschi e ghiaccio per migliaia di chilometri – osserva – non c’è vita. Solo qualche rude allevatore che però se hai bisogno ti fa dormire nel suo letto perché lo sa che là fuori è dura». Non c’è rumore, racconta, appena i «chiodi smettono di mordere il ghiaccio c’è un silenzio che fa quasi male alle orecchie. Il Paradiso Silente. Questa è la Siberia».

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