Riccione nell’anno della Conciliazione e della memorabile nevicata

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L’11 febbraio 1929, con la firma dei “patti lateranensi”, cessa la “guerra fredda” tra Stato e Chiesa iniziata nel 1870 con l’ingresso a Roma dei soldati italiani. L’accordo, stipulato tra il cardinale Gasparri e Mussolini attraverso un trattato e un concordato, sarà comunemente ricordato con il termine generico, ma comprensibile, di Conciliazione. La Conciliazione ha vasta risonanza nel paese. La stampa accoglie l’intesa come una grande vittoria del fascismo e Mussolini, che dopo aver resa obbligatoria l’istruzione religiosa nelle scuole elementari – nel quadro della riforma scolastica Gentile del 1923 – aveva ottenuto l’appoggio delle autorità ecclesiastiche, con questo ulteriore successo guadagna le simpatie dei cattolici. Soltanto il fascismo, scrivono i giornali di regime – espressione, come più volte abbiamo sottolineato, del pensiero unico nazionale –, poteva realizzare questo “patto di conciliazione” «per ridare a Roma la sua doppia luce civile e religiosa». Il vescovo della diocesi di Rimini Vincenzo Scozzoli ha parole d’elogio per l’atto di concordia raggiunta, che oltre a regolamentare i rapporti delle varie istituzioni ecclesiastiche accetta e riconosce le scuole cattoliche e detta ulteriori disposizioni per l’insegnamento religioso nelle scuole medie. Tra le varie innovazioni del Concordato, assume particolare significato l’articolo sul matrimonio, secondo il quale «lo Stato Italiano volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al Sacramento del matrimonio, disciplinato dal Diritto Canonico, gli effetti civili». Nei “patti” spicca anche l’articolo che concede piena legittimità alle organizzazioni giovanili cattoliche per l’attuazione dei principi religiosi, a condizione che siano alle dipendenze della Gerarchia ecclesiastica.

Riccione un tempo fiera nel suo anticlericalismo di stampo romagnolo e nemica giurata della “sottana nera”, accoglie l’accordo come segno di efficienza del nuovo corso della politica italiana. Da un trafiletto de Il Popolo di Romagna del 16 febbraio 1929 leggiamo l’immediata e sobria risposta della cittadinanza all’evento: «La notizia dell’avvenuta conciliazione fra la Santa Sede e il Governo Nazionale ha suscitato profondo entusiasmo anche in questo Comune. Dal balcone della Casa comunale sventolano il tricolore e la bandiera pontificia. Il Commissario prefettizio, interprete del sentimento di tutta la popolazione, ha inviato a Sua Eccellenza il Capo del Governo un nobile telegramma, nel quale esprime l’esultanza e il giubilo dei cittadini. Nella chiesa parrocchiale di Riccione paese doveva aver luogo una cerimonia che è stata rinviata a domenica prossima causa il cattivo tempo».

Il “cattivo tempo”, segnalato nello stelloncino de Il Popolo di Romagna, è in effetti una bufera di neve che si abbatte con estrema violenza su Riccione e su tutto il territorio circostante. Una tormenta così eccezionale che il ricordo dei “patti” tra Stato e Chiesa sarà perennemente accostato a quella fioccata e il 1929, “anno della Conciliazione”, sarà memorizzato anche come “anno del nevone”. Una vicenda che merita di essere rievocata.

La neve, che supererà l’altezza di un metro, comincia a cadere la sera del 10 febbraio e continuerà a scendere quasi ininterrottamente fino alla fine del mese con intervalli di freddo intenso, durante i quali la temperatura si abbasserà a 18 gradi sotto lo zero. Le attività commerciali e i servizi pubblici si fermano per giorni e giorni e l’interruzione delle comunicazioni con la campagna e le frazioni vicine rendono problematico il rifornimento al paese dei generi di prima necessità. Le scuole rimangono chiuse per quindici giorni. Il tram e le automobili riprendono a muoversi regolarmente solo verso i primi di marzo e per tutto il mese di aprile si avranno strade lastricate di ghiaccio e ammassi nevosi sui marciapiedi.

I disagi causati dal “nevone” incidono particolarmente sulle classi più povere e bisognose, e proprio per alleviare la sofferenza prende vita una encomiabile gara di solidarietà attraverso la raccolta di danaro, alimenti e materiale combustibile. L’iniziativa registra «il concorso spontaneo ed entusiasta di enti e cittadini», ma a causa della neve – che continua a scendere copiosa – le squadre di volontari in giro per il paese e il contado hanno notevoli difficoltà di movimento. Il risultato di questa «prova di civismo», tuttavia, supera le più rosee aspettative: 250 famiglie indigenti, per un totale di 860 persone, ottengono «buoni per carne, latte, pasta alimentare e legna da ardere» (cfr. Il Popolo di Romagna, 10 marzo 1929).

Negli elenchi degli offerenti – che settimanalmente sono pubblicati da Il Popolo di Romagna – troviamo un numero enorme di cittadini, e tra questi anche coloro che per motivi di partito qualche anno prima si accapigliavano di santa ragione. A superare gli steccati della politica e a smussare gli antichi rancori è il senso civico e la solidarietà dei riccionesi verso i bisognosi. Da un po’ di tempo a questa parte, infatti, le vecchie rivalità ideologiche sembrano aver perso la loro irruenza. Gli animi hanno quietato i bollori, il dialogo è ripreso e quello che più conta la concordia è tornata ad aggregare la popolazione.

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