Riccione e le aggressioni delle baby gang. La psicologa: "L'obiettivo di questi ragazzi non è la rissa"

Minacce, aggressioni e violenze fisiche immotivate nei confronti dei propri coetanei. Le notti della riviera tornano a essere segnate dalle azioni violente delle cosiddette ‘baby gang’. Un fenomeno su cui i professionisti del settore cercano di dare risposte e arginare. Cerca di far luce sul fenomeno Caterina Rivola, psicologa psicoterapeuta esperta in adolescenza.


Dal fenomeno sociale delle baby gang in Italia, al profilo sociale e psicologico dei giovani bulli criminali: chi sono?


«Sono i giovani che hanno cercato di costruirsi una identità negli ultimi due anni dentro le mura di una casa. L’unico modo per sentirsi “parte di un gruppo” era il cellulare, i social. Durante questa fase della loro vita i ragazzi sentono il bisogno di mettersi in gioco con il proprio corpo. Desiderano essere visti, confermati, lo fanno attraverso il fisico e le azioni. Le risse per loro sono un modo per esistere e avere un ruolo. È sempre esistito, ma ora non diamo loro voce in capitolo, non sono ascoltati. Dovrebbero esser resi partecipi come esseri umani: più spazi, punti di riferimento e una rete “ad hoc” eviterebbe che i nostri giovani si formino tramite l’effimera esperienza virtuale».


Cosa manca secondo lei a questi giovani? Perché sono così arrabbiati?

«L’obiettivo non è la rissa, non è la rabbia, ma è la conferma della propria forza, l’esprimerla e averne conferme e visibilità. Loro hanno imparato che l’importante è costruire se stessi attraverso il proprio successo, la popolarità. Forse questo è il loro modo per far sentire la propria voce. Non voglio essere critica, perché stupiscono e hanno tante risorse: è necessario ascoltarli».


Allora come si può intervenire su questo fenomeno che sta sempre più prendendo piede?

«Trasgredire è un elemento fondamentale della crescita, forse è che a questi ragazzi vengono posti pochi limiti. Spesso sono lasciati soli, anche perché i genitori lavorano tanto, ma ricordiamoci che sono ragazzini senza esperienza, istintivi e molto emotivi e l’autogestione li porta all’aggressività. La parte riflessiva deve essere insegnata partendo dall’ascolto, per poi passare all’accompagnamento e alla gestione delle frustrazioni: sono queste che, inevitabilmente, portano alla paura e allo scontro. Manca essenzialmente “esserci” per loro».

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