Remo Anzovino domani alle 7 alla Rocca di Cesena

CESENA. È un risveglio di vitalità positiva, di libertà dei sensi, ma è anche un riappropriarsi delle proprie radici. È il risveglio in musica che Acieloaperto orchestra per domattina, sabato 18 luglio alle 7, alla Rocca Malatestiana di Cesena. Quando a raccontare «l’alba, momento in cui qualcosa muore e qualcosa nasce», è Remo Anzovino con il suo pianoforte capace, dice, «di applicare la musica a una narrazione, che sia cinema o semplicemente vita, perché la vita degli altri è una narrazione».
Il filo conduttore Risvegliarsi diventa in questo caso una contaminazione di suoni, sensi, emozioni, natura, in un luogo simbolico cittadino.
Il protagonista Anzovino (1976), nato e cresciuto a Pordenone ma da genitori napoletani, è da vent’anni fra i compositori più richiesti dal cinema per le sue colonne sonore capaci di raccontare le immagini. L’artista è reduce dall’Ischia film festival dove ha presenziato alla première del film di Carlo Luglio “Il ladro di cardellini”, ma vanta un repertorio di quasi 200 temi, compresi trenta film muti in collaborazione con la Cineteca di Bologna, e la serie La grande arte al cinema, oltre a 13 album.
Da tre anni la Romagna è divenuta una sua seconda casa.
«Dal 2017, ricorda l’artista, da quando realizzai le musiche per un progetto di Sky dedicato all’austriaco Peter Handke (Premio Nobel per la Letteratura 2019), registro le colonne sonore cinematografiche in Romagna, a Coriano, sulla colline di Rimini, nello studio di Cristian Bonato dove passo due mesi all’anno».
Dice di tenere molto alla musica dal vivo dei concerti all’alba, per quale ragione?
«Prima di tutto perché un mio concerto all’alba non è un concerto, ma è un’esperienza che si vive insieme, artista e pubblico simultaneamente, ed è multisensoriale e legata a una mia idea precisa; quella cioè che l’alba, momento in cui qualcosa muore dentro di noi tutti i giorni, e qualcosa nasce, è metafora dell’elemento evolutivo che ci appartiene. Prima di ogni concerto mattutino, mi reco nel luogo dell’evento per sentire come suona, e prima di addormentarmi decido la scaletta del mattino dopo. Bisogna assolutamente puntare la sveglia domattina, perché non torno mai nello stesso luogo di un’alba!».
Cosa la appaga di questo tipo di evento?
«La cosa più bella è vedere che la gente vive il concerto in grande libertà, in modo anche trasgressivo, nel contatto con la terra o con gli occhi chiusi, in una fusione tra pubblico e artista dove io fungo da tramite di un flusso di emozioni dei bisogni delle persone».
Sembra un concetto alto, per un momento musicale.
«In una esperienza collettiva mi piace applicare ciò che David Byrne dei Talking Heads scrisse nel suo famoso libro Come funziona la musica; il fatto cioè che la musica cambia a seconda del luogo e dell’orario in cui si fa, sia per chi suona, sia per chi la riceve, ed è un qualcosa di irripetibile. È come un incantesimo! Ecco perché non ripropongo lo stesso concerto nel medesimo luogo».
È solito collegare il luogo della musica alle radici di chi vi partecipa, ma in che modo le radici del pubblico influiscono sul suono?
«In un luogo simbolico come è la Rocca di Cesena, le persone che salgono al concerto vivono un profondo legame con le radici di quel luogo, ma in una maniera radicale. Perché nessuno solitamente ci va a quell’ora dove vi trova luce e scenografia naturali offerte da madre natura. È dunque bellissimo essere la colonna sonora istantanea di un giorno che nasce».
Dice che la sua musica, molto richiesta dal cinema, narra la vita delle persone; il suo suono si fa parola?
«Le persone che salgono sulla Rocca stanno cercando una propria storia, e la cercano attraverso un musicista che riesce a suonare la musica giusta per le storie degli altri; perciò fare musica per me significa tradurre immagini e cose che io stesso vedo, che rubo dalla realtà, o che immagino; questo è l’elemento “cinematico” della mia musica, suoni cioè in grado di smuovere delle immagini».
Lei è friulano, di genitori napoletani, romagnolo di adozione, qual è la sintesi musicale?
«Sono stato influenzato moltissimo dalla mia doppia cultura che mi ha portato a scrivere musiche sul Vajont, su Tina Modotti, su Pasolini, ma contemporaneamente nella mia musica c’è un tratto mediterraneo fortissimo. Dopo Napoli, la musica romagnola rappresenta per me la più grande tradizione folk, la cui storia è nata nelle aie di Secondo Casadei. I musicisti romagnoli, anche se hanno studiato al conservatorio, hanno tutti fatto esperienza nelle orchestre folk, e questo lo sento e lo condivido, e suono con musicisti romagnoli». Ingresso gratuito

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