Ravennate bloccato in Perù dall'emergenza sanitaria

Quella che sta vivendo Maurizio Righi è una delle situazioni da cui è difficile uscire a causa di una burocrazia sempre presente aggravata dall’emergenza sanitaria. Righi, pensionato ravennate ed ex lavoratore al porto, ha una moglie peruviana da cui è nato un bimbo, oggi dodicenne. All’orizzonte un sogno: fare studiare il ragazzo, che ha finito la primaria in Perù, in Italia e – come dice il padre – dargli una nuova vita in Europa. In mezzo a questi progetti si è messo il Covid 19.

Il volo bloccato

Il 18 settembre la famiglia avevano messo le loro speranze in una valigia per lasciare Arequipa, la città peruviana in cui vivono, per tornare a Ravenna, dove Righi è residente. Qui è arrivata la brutta sorpresa: «Ci hanno detto – racconta Righi dal Perù – che non avevamo i requisiti per tornare, stante l’emergenza sanitaria dichiarata in Italia. Posso tornare solo io, non mia moglie e non mio figlio». Ciò nonostante il matrimonio tra l’uomo e la moglie peruviana, celebrato nel 2012, sia stato regolarmente registrato nel Comune di Ravenna. Il ragazzo è invece registrato all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) ma a nulla serve. Così gli esosi biglietti aerei sono stati gettati via, battendo altre strade: «Le abbiamo tentate tutte – dice sconsolato Righi –, ma nessuno degli impiegati con cui abbiamo parlato ha saputo aiutarci in alcun modo. Il Condal di Arequipa è un console onorario e pare non volersi prendere nessuna responsabilità. Non sappiamo davvero cosa fare. Proverò a cancellare mio figlio dall’Aire per capire se può prendere la residenza del padre».

«Senza rete sanitaria»

A preoccupare è anche la situazione del contagio in Perù, davvero difficile: dopo il Brasile di Bolsonaro, che come si ricorderà non ha mosso un dito contro l’epidemia, è proprio il Paese delle Ande ad essere il più colpito del Sudamerica con il sistema sanitario al collasso. «Io sono un pensionato italiano – dice ancora Righi – e così qui non abbiamo la copertura sanitaria». Anche per questo la voglia di tornare nel nostro Paese ed uscire da una situazione difficile è tanta. «Se ci dovessimo ammalare qui, non so cosa ci succederebbe».

Il sogno infrantoIl progetto della famiglia Righi era tuttavia stato pensato da tempo e non è figlio dell’emergenza attuale: «Io sono in pensione da tempo, ho avuto il prepensionamento a causa dell’amianto. Sono tornato a Ravenna nel 2018 per motivi familiari, poi sono rientrato in Sudamerica. Lo scorso anno siamo tornati di nuovo in Italia tutti e tre, poi di nuovo in Perù. Il tutto al fine di legalizzare i documenti per vivere in Italia e sistemare la questione scolastica di nostro figlio: capire come fare perché studiasse in Italia. Volevamo iscriverlo alla Guido Novello per la terza media. Poi è arrivata l’emergenza e siamo rimasti bloccati in Perù fino all’apertura dei voli umanitari. Trovare un posto su quell’aereo non è semplice, noi ce l’avevamo fatta e l’abbiamo perso per motivi burocratici».

L’amarezza è tanta: «Come farà mio figlio a frequentare le scuole e che senso ha dividere le famiglie? Io se volessi potrei tornare, mio figlio e mia moglie no. Ora la speranza è che con la fine dello stato di emergenza, il 17 ottobre, in Italia si sblocchi qualcosa anche per noi. Quella è davvero la nostra ultima chanche, altrimenti non so come faremo».

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