Sesso in caserma a Ravenna, assolto carabiniere in appello

Ravenna
  • 30 giugno 2024

Aveva avuto un rapporto sessuale in caserma con una donna dichiarando di dover svolgere un servizio per motivi “improcrastinabili e urgenti” e per questo motivo era stato condannato per truffa e falso. Undici mesi in primo grado cancellati però in appello venerdì sera. «Il fatto non sussiste», ha scritto la corte scagionando il carabiniere 52enne che all’epoca dei fatti - era l’11 gennaio del 2017 - aveva fatto entrare due donne in caserma, appartandosi con una di esse.

La procura gli contestava appunto il reato di truffa e falso. Con le sue dichiarazioni aveva tratto in inganno il piantone, sosteneva l’accusa. Ma per quella presenza in caserma gli era stata anche pagata un’ora di straordinario pari a 16 euro, circostanza che ha portato il militare a finire sul registro degli indagati e ad uscire poi dal processo in primo grado con una condanna pesante, anche se con pena sospesa.

L’episodio era costato all’uomo, che oggi è in servizio fuori regione, la sospensione, seguita alla denuncia per violenza sessuale sporta da una delle due signore entrate in caserma quella notte. Accusa che si era poi rivelata infondata, tant’è che il procedimento è stato archiviato e la donna - una 37enne ravennate - è stata condannata in primo grado per calunnia.

Un rapporto consenziente, dunque, che pur scagionando il carabiniere dalla ben più grave accusa di abuso sessuale, non gli aveva evitato il rinvio a giudizio per quell’ingresso ritenuto illegittimo e per la retribuzione ottenuta. Accuse che la difesa, rappresentata dall’avvocato Enrico Ferri, ha respinto già in primo grado su tutti i fronti, chiedendo l’assoluzione dell’imputato.

Secondo il legale del carabiniere non ci sarebbe stata la truffa perché il militare eseguì effettivamente delle pratiche, e lo fece in orario di straordinario. Non avrebbe quindi percepito un ingiusto profitto, nonostante quella notte fosse rimasto con le due donne per circa un quarto d’ora, e non per ragioni legate al servizio. Nell’appello l’avvocato fa notare che, risiedendo il militare in caserma, ne aveva libero accesso e l’ingresso negli uffici era dovuto in sostanza ad un’ingenuità - soddisfare la richiesta della donna e non alla volontà di truffare. Inoltre quella sera il carabiniere ha effettivamente svolto atti d’ufficio. Tesi che, in attesa delle motivazioni della sentenza, sembra essere stata accolta dai giudici. «Siamo molto soddisfatti dell’assoluzione - dice il legale - che accoglie quanto abbiamo sostenuto sin dal principio».

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