Scuola e spring break in Romagna, i docenti combattuti “Prima si risolva il precariato”

C’è chi lo vede come un toccasana per studenti e insegnanti, e chi invece invita alla cautela, temendo che dietro l’apparente innovazione si nascondano problemi ben più complessi.
Lo “spring break” continua a far discutere, anche tra chi la scuola la vive ogni giorno in aula e anche a casa, come genitore.
Francesca Bertozzi, insegnante al liceo classico “Dante Alighieri” di Ravenna e mamma di due figli, uno ancora alle superiori, non ha dubbi: «Io sono molto favorevole, in quanto la vedo una soluzione utile sia per gli studenti, sia per i docenti. I ragazzi arrivano alla fine del primo quadrimestre molto stressati, tra verifiche e interrogazioni, e una pausa di una settimana a febbraio potrebbe essere utile per tirare il fiato». Per Bertozzi, accorciare la lunga pausa estiva - che definisce «troppo lunga e penalizzante per i ragazzi con meno stimoli» - sarebbe un passo in avanti. «Una settimana in più a giugno? Certo, fa caldo, ma forse potrebbe essere anche uno stimolo a ristrutturare finalmente gli edifici scolastici», aggiunge.
Più prudente invece Ilaria Cerioli, docente all’Istituto “Ginanni” e mamma di tre figli. «Per arrivare a un cambiamento del genere serve una riflessione più ampia, coinvolgendo famiglie, studenti, professori, personale Ata e sindacati. Condivido le perplessità sul metodo: prima di tutto bisognerebbe risolvere problemi ben più urgenti come il precariato». Anche lei, però, non boccia del tutto l’idea: «Non sono contraria in assoluto, ma bisogna capire se risponde davvero alle esigenze degli studenti. Servirebbe rivedere il calendario in modo serio, dagli esami di maturità a quelli di recupero di agosto. Al momento, mi pare più una trovata ad effetto che una proposta strutturata».