Ravenna, viaggio nell’unica scuola occupata in Romagna tra lezioni alternative e pulizie. “Ecco cosa facciamo. E vogliamo parlare col preside”




La sveglia suona sulle 7.30/8. Al liceo artistico di Ravenna dormono in una ventina, studente più studente meno. Nel corso della giornata via Tombesi dall’Ova si popola, ma nell’istituto “Nervi Severini” la campanella non suona l’inizio delle lezioni. Una settantina i ragazzi che man mano raggiungono i compagni, forse qualcosa di più. Insieme danno il via alle attività che nell’ultima settimana hanno segnato la routine dell’occupazione, l’unica in tutta la Romagna. «Non accadeva da nove anni a Ravenna», racconta Adelaide.
Lei è tra «le veterane», scherza, una degli studenti e studentesse che da lunedì scorso si sono fatti promotori della protesta. Ci tengono a comunicare alla città, agli insegnanti, ai genitori, a chi liquida la loro occupazione come un anticipo delle vacanze natalizie, che in realtà quella che stanno vivendo «è un’iniziativa educativa e allo stesso tempo un’esperienza bellissima dal punto di vista sociale, che ci ha fatto ritrovare un senso di vicinanza che si era perso dal Covid». Eccola tornare la pandemia, con gli anni della didattica a distanza, delle mascherine e delle restrizioni che si pensava appartenere a un tempo ormai dimenticato. Invece no, per Adelaide e coetanei la scuola non fornisce più quel sentimento di comunità di cui tanti sentivano il bisogno. Il prezzo, il loro prezzo, è stato quello di alzare le barricate e proibire l’ingresso a chi vorrebbe tornare alla normalità. E allora eccoci di nuovo al programma della giornata: «Ci dividiamo i compiti - racconta la studentessa -, chi va a fare la spesa, chi fa le pulizie». Capitolo dolente quest’ultimo, spiega: «La scuola è ridotta a uno schifo, la maggior parte del nostro lavoro è dedicato a pulirla».
Ci sono poi i corsi autogestiti e gli incontri. «Oggi abbiamo un artista, Fabio Tramonti - prosegue Adelaide - ma nei giorni scorsi sono venuti anche dei professori, una docente di architettura ci ha parlato di un progetto nelle carceri, alcune ragazze di quinta hanno tenuto un corso di pittura, sono venuti anche dei ragazzi di Milano a registrare un podcast su come vediamo la resistenza, su quello che stiamo facendo».
“Resistenza”, per gli occupanti, è un elenco di 16 punti un po’ da interpretare per la verità («Scritti male perché siamo stanchi» puntualizza la studentessa), che variano dalle condizioni di vita nell’istituto, fra «spese scolastiche che non garantiscono il rifornimento di materiali» la richiesta di tornare a una «biblioteca accessibile a tutti, ordinata e aggiornata», e un lamentato rapporto difficile con «l’autoritarismo dei prof», che si somma alla mancanza di spazi idonei all’espressione degli alunni e alle tre sedi dell’istituto, con i dubbi legati all’arrivo del liceo musicale. Argomenti ai quali si aggiungono anche temi di politica internazionale ma anche ambientale. È l’ora di pranzo, si cucina insieme. Poi le attività proseguono. Sabato «abbiamo attaccato le decorazioni di Natale fatte da noi». La giornata, volge al termine. La cena è sempre in comune e lascia spazio all’assemblea, prima di tornare a letto. La scuola si spopola e restano gli inossidabili della “resistenza”. Fino a quando? «Fino a che il preside non tornerà a confrontarsi con noi». E se l’incontro andrà bene prima dell’arrivo delle vacanze? «Beh - conclude la portavoce -, a nessuno di noi farebbe schifo tornare a dormire nel proprio letto».