Ravenna, Ouidad Bakkali: “A Gaza ho visto un orrore senza fine”

«Pensavo di essere preparata a tutto, ma vedere o ascoltare direttamente è un’altra cosa. Per capire cosa siano la fame e la carestia, ad esempio, mi viene in mente una testimonianza di una famiglia di medici. Da giorni hanno razionato il cibo per i loro figli. Sa come nutrono quei bambini? Tre cucchiai di cibo per cani al giorno. Gaza non è già solo guerra. Gaza ora è qualcosa che va oltre l’umanamente sopportabile».

Ouidad Bakkali, parlamentare ravennate del Pd, è da poco tornata con una delegazione di altri 13 deputati di Pd, M5s e Alleanza Verdi e Sinistra dal valico di Rafah, in Egitto.

Una spedizione che ha lasciato le porte dell’inferno gazawi con un messaggio politico chiaro: cessate il fuoco immediato e liberazione degli ostaggi israeliani, come del resto già chiesto dal parlamento italiano, ma anche sostegno umanitario alla popolazione di Gaza, e la cancellazione del taglio dei fondi all’Unrwa.

Richieste contenute in un documento politico inviato alla premier Meloni e firmato non solo dai 14 parlamentari (tra cui Andrea Orlando, Susanna Camusso, Laura Boldrini e Nicola Fratoianni) , ma anche da diverse associazioni e Ong, tra le quali Aoi, Assopace Palestina e Arci.

Onorevole Bakkali, Andrea Orlando descrivendo Gaza ha parlato senza mezzi termini di “situazione che va oltre ogni immaginazione”.

«Purtroppo è così. Questo è emerso chiaramente dai diversi incontri che abbiamo avuto sia con operatoti di Ong che di Agenzie Onu. Mancano cibo e acqua. Siamo nel pieno di una carestia dove la fame e le malattie sono usate come armi per compiere con sistematicità e programmazione un disegno non solo militare, ma politico: ovvero rendere Gaza invivibile anche in futuro. Si tratta di un territorio ormai raso al suolo, dove sono stati bombardati 32 ospedali. Ma c’è un dato che mi ha colpito persino di più: a Gaza mancano alberi: sono stati abbattuti e bruciati per scaldarsi. E poi c’è la vergogna degli aiuti umanitari...

Quella dei convogli fermi in attesa di entrare?

«Nel Sinai egiziano, arrivando verso il valico di Rafah si nota la colonna dei camion di aiuti mandati da tutto il mondo fermi per chilometri. Se prima del 7 ottobre ne entravano circa 700 al giorno, ora ne entrano al massimo 140 quando va bene. Si pensava che dopo il pronunciamento della corte dell’Aja qualcosa sarebbe cambiato in meglio, ma invece è cambiato in peggio. Personalmente ho visto non solo cibo, ma persino incubatrici, bombole d’ossigeno o addirittura bagni chimici fermi solo perché hanno un semplice pannello solare, considerato da Israele come componente non autorizzata al transito. In tutta questa disumanizzazione c’è poi la condizione delle donne che in un giorno come questo (l’8 marzo, ndr) colpisce ancora di più.

In che senso?

«Dico solo questa: la maggior parte dei parti ora a Gaza avviene con il cesareo, perché i parti naturali, sotto le bombe, sono rari. Ma quei parti vengono fatti senza anestesia».

Crede che in Italia ci sia la percezione di quello che oggi è Gaza?

«No. Non pienamente. Nemmeno tra le persone che provano ogni giorno a informarsi su una guerra, che - va detto - viene raccontata da fuori, perché ai giornalisti a Gaza non è permesso entrare, mentre quelli che ci sono vengono considerati target da uccidere. Ma del resto ormai è così persino con le ambulanze».

Cioè?

«Quelle della mezza luna rossa che hanno il permesso dell’Idf (l’esercito israeliano ndr) di passare vengono poi colpite dai cecchini. La percezione di questo senso di impunità e di umiliazione di una intera popolazione non credo sia percepita in Europa. Non mi stancherò mai di condannare e ricordare gli atti criminali del 7 ottobre, ma quello che sta succedendo non potrà mai essere giustificato nelle sue proporzioni nemmeno dal 7 ottobre. Le posso dare un dato numerico semplice?»

Certo.

«C’è uno studio che ci è stato illustrato durante il nostro viaggio fatto dalla John Hopkins University e dalla London School per cui se la guerra finisse oggi avremo comunque altri 6.500 morti per fame o epidemie. Se invece durasse altri 6 mesi i morti sarebbero altri 85mila, oltre ai 30 mila già contati».

Crede che l’Italia possa ancora avere quel ruolo diplomatico che storicamente aveva tra i paesi arabi come ponte tra due mondi spesso in conflitto?

«Io credo che questo ruolo purtroppo non ce l’abbia più, ma di sicuro il governo non ha fatto ancora nulla di concreto per aprire canali concreti di pace , in considerazione non solo di quello che siamo stati, ma anche di dove ci troviamo. Tutto questo in un momento di grande debolezza degli Stati Uniti che sostanzialmente stanno permettendo a Israele di fare tutto ciò che vogliono in una continua delegittimazione delle istituzioni internazionali. Tanto che arrivo a domandarmi se la liberazione degli ostaggi sia davvero una priorità per Netanyahu».

Pensa di organizzare altri eventi di informazione e sensibilizzazione anche sul territorio ravennate?

«Sì, certamente. Cercherò di essere testimone di quanto ho visto. Siamo di fronte a eventi per i quali prima o poi l’intera comunità internazionale sarà chiamata a renderne conto».

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