Ravenna. Ogni anno 5mila bottiglie di vino nella cantina in fondo al mare

RAVENNA. L’ispirazione tratta dal bagaglio culturale di Tonino Guerra, la volontà di riprendere la tradizione degli antichi romani sui vini salsi. E insieme, il voler unire collina e mare della Romagna. Poi anche un tratto anche intimo, familiare, tradotto in passione e divenuto sforzo imprenditorale.

La genesi

Nasce da un’idea ravennate l’affinamento nelle profondità marine del vino, ed è praticato sin dal 2008: «Più o meno contemporaneamente, lo hanno iniziato a fare anche in Liguria, i colleghi di Bisson», precisa Gianluca Grilli de La tenuta del Paguro. I due gruppi italiani furono i primi al mondo a praticare una modalità di maturazione del vino in bottiglia che ora sta diventando sempre più diffusa, sia per l’inaspettato riscontro sulle proprietà del prodotto, sia per la possibilità di replicare a costi ambientali nulli quanto in cantina andrebbe stimolato con strumentazioni energivore, come oscurità e pressione costante. E che invece, in fondo al mare, avviene naturalmente.

I traguardi

Un percorso che è evoluto in esperienza imprenditoriale solo nel 2015 e che prima della pandemia aveva visto muovere passi decisivi, culminati al Vinitaly del 2019 quando per la prima volta, grazie all’Ais nazionale, fu organizzata una degustazione comparata di vini affinati sott’acqua. Quest’anno, però, per la Tenuta del Paguro è arrivata la vera consacrazione: due dei suoi vini, Squilla Mantis e Mare Urchin, sono stati selezionati tra i 16 migliori vini italiani nella “The World’s Best Sommeliers’ Selection” (Wbss) del 2024. Una selezione esclusiva, curata dai più influenti sommelier del mondo. Per Grilli una svolta per il cammino iniziato «sull’assunto di Tonino Guerra, che per noi è diventato quasi un elemento fondativo: il grande poeta e sceneggiatore romagnolo sosteneva che la storia dell’uomo si tramandasse attraverso il sapore. Egli ebbe un profondo legame anche con l’associazione Il Lavoro dei Contadini, con cui avevo una grande prossimità». Sono questi gli stimoli culturali che indussero Grilli, nel 2008, a sperimentare l’immersione di vini nelle immediate pertinenze del Paguro, la piattaforma metanifera al largo di Porto Corsini divenuta relitto nel disastro del 1965 e dal 2010 considerata sito di interesse comunitario. Grilli però non è un enologo e come produttore dei vini sarà scelto, non a caso «il nipote di colei che Tonino Guerra elesse a depositaria dei sapori che lui assaggiava da bambino, e quindi sua cuoca personale: la Lea. Ho voluto Stefano (Gardi, ndr) come socio, sin dall’inizio. L’albana, il sangiovese, il merlot e il cabernet che produciamo sono sue creazioni. Per quanto lui sottolinei sempre che i vini non li fa la botte, ma la pianta». Un retaggio, quello del legame con la terra, comune ai due, visto che «questa impresa, per me, nasce nel Fusignanese - approfondisce Grilli -, dalla concezione che mio padre mi ha trasmesso della campagna, dell’essere contadino».

Sapori internazionali

Così, quell’azienda nata da un interesse culturale che è diventato business per alcuni incontri fatali (»uno è stato con un head sommelier di un grande club di Londra, nel 2015, che mi concesse tempo impietosito dal mio sfacchinare con i pesanti cofanetti di pino marittimo e acciaio corten delle nostre bottiglie», ndr), ora si prepara a nuovi sviluppi: «Nessuno credeva ai vini affinati in mare. Ora ci si rende conto che la microssigenazione che avviene in profondità attraverso il tappo, la variazione cromatica e anche chimica che essa conferisce, rappresenta un valore aggiunto. Così come - spiega il socio fondatore della Tenuta del Paguro - l’armonia che il mare dona, con i movimenti delle correnti. Sono elementi che abbiamo studiato con l’Università di Firenze, ma che i migliori sommelier hanno riscontrato al palato». Per questo le oltre 5mila bottiglie che vengono fatte riemergere annualmente, per portarne altrettante della nuova vendemmia a 30 metri di profondità, vengono tutte “bruciate” dalla distribuzione: sono vendute in ristoranti stellati del Nord Italia, Uk, Germania e Francia fra i 100 e i 130 euro l’una: «Il potenziale, fra i terreni di concessione del Paguro romagnolo e della piattaforma gemella del Tirreno, è di 20mila bottiglie.

Quest’anno andremo un po’ oltre le abbondanti 5mila che normalmente immergiamo - conclude Grilli -. Perché abbiamo prodotto, per la prima volta, un sangiovese rosè vinificato in stile provenzale. Sarà disponibile affinato tradizionalmente o in mare. Sarà quindi possibile un confronto, sul medesimo prodotto, nelle due modalità. E le prime le potremo vendere subito».

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