Ravenna, la direttrice di Pediatria: “Cellulari al posto dell’esperienza, a rischio lo sviluppo dei bambini”

Ravenna

«Bisogna fornire ai ragazzi e ai bambini messaggi univoci, non solo divieti. Ma sia chiaro che i primi a rispettare le regole dobbiamo essere noi adulti. Senza un esempio da seguire non siamo credibili per i nostri figli».

Anna Maria Magistà - direttrice della Pediatria di Comunità di Ravenna, Faenza e Lugo del Dipartimento Sdia dell’Ausl Romagna - mette in chiaro subito un concetto fondamentale: gli effetti di una digitalizzazione precoce delle vite dei più giovani «non si risolvono con la semplice criminalizzazione del supporto digitale, ma con una consapevolezza diffusa che parte dagli adulti».

Dottoressa, partiamo dall’attualità: in questi giorni si è parlato di una proposta di legge alle Camere per vietare gli smartphone ai bambini sotto una certa età e all’interno delle scuole, cosa ne pensa?

«Penso che sia sempre più necessario che l’uso degli smartphone, così come l’accesso ai social, debba essere affrontato come sanità pubblica. Ma non basta. Bisogna coinvolgere sul tema anche il mondo educativo e, perché no, quello politico. L’obiettivo è creare un’alleanza costruttiva per arrivare una alfabetizzazione digitale critica».

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Cosa intende per “alfabetizzazione digitale critica”?

«Dobbiamo mettere le famiglie e i ragazzi nella condizione di conoscere i rischi, dell’uso pervasivo di questi strumenti. E lo dobbiamo fare attraverso fonti attendibili che diano notizie non discordanti tra loro».

L’assessora regionale Conti ha fornito recentemente un dato sanitario preoccupante: sono cresciuti del 183% i ricoveri in Neuropsichiatria infantile, mentre i disturbi d’ansia sono cresciuti del 265% e quelli alimentari del 483%. Hanno registrato un +396% i casi di schizofrenia nell’età evolutiva. “L’impatto sui servizi è enorme - ha detto - abbiamo una generazione sotto attacco”».

«La pressione nella pre adolescenza creata dai social è esponenziale rispetto al passato e può arrivare a creare ansia e depressione che colpiscono in maniera diffusa le nuove generazioni. Tuttavia dobbiamo guardare a questo fenomeno nella sua interezza per darne una lettura più complessa. Non tutto deriva da social e smartphone. Non sono per una totale demonizzazione del digitale. I social offrono anche delle opportunità, anche per noi genitori» .

A che età secondo lei è giusto poter dare uno smartphone a un ragazzino?

«Alcuni autorevoli colleghi indicano i 14 anni per la concessione di uno smartphone personale e i 16 anni per l’accesso ai social. La pressione dei social è altissima e a quell’età è alto il rischio di sviluppare una dipendenza. Ma il punto importante non è solo l’età».

Cos’altro?

«In ottica preventiva è importante che ci sia sempre un genitore a monitorare l’uso. Sempre più bambini accedono allo smartphone del proprio genitore senza sorveglianza, vedendo contenuti non adeguati per la loro fascia d’età».

L’approccio con il digitale è sempre più anticipato?

«Direi di sì. La comunità scientifica è concorde nel dire che non bisognerebbe mai dare un cellulare a un bambino prima dei due anni. Ma come detto la cosa fondamentale è il controllo. Spesso anche su Youtube Kids gli algoritmi possono proporre alla fine di un video per bambini contenuti non appropriati, eppure il genitore pensava di essere al sicuro».

Le linee guida sono chiare, ma nella vita reale spesso i genitori cedono alla richiesta di un cellulare in prima media, perché temono di isolare i propri figli in contesti dove tutti ormai hanno uno smartphone. Si sente dire: “In classe ce l’avevano tutti, cosa dovevamo fare?” E’ accettabile come scelta?

«Spesso noi genitori abbiamo paura di togliere ai nostri figli delle opportunità e temiamo di essere la causa della loro esclusione dal mondo. Ma su questo dobbiamo interrogarci. Spesso è proprio un utilizzo eccessivo dei social che può portare all’isolamento e non il contrario. Se i genitori fossero consapevoli di tutto ciò, farebbero scelte diverse. Ma posso dirle che su questo aspetto stiamo segnalando dei cambiamenti».

Di che tipo?

«Si stanno sempre più affermando i “patti digitali di comunità».

Cosa sono?

«Sono gruppi di famiglie che si uniscono per condividere regole comuni. Sia all’interno della scuola che delle società sportive o tra semplici conoscenti. I genitori definiscono insieme le regole di utilizzo di quello strumento e cercano di valorizzare le esperienze fuori dal digitale».

Quali sono i rischi maggiori per la salute dei nostri bambini e dei nostri adolescenti relativi a un uso smodato degli smartphone?

«I bambini sin dalla nascita sono ormai immersi in mondo digitale. Le evidenze scientifiche ci dicono che questo uso ha effetti su salute fisica, emotiva e socio-relazionale e nella prima infanzia anche sul neuro sviluppo. Stiamo sostanzialmente sostituendo l’esperienza, fondamentale per i bambini per lo sviluppo cognitivo, con il digitale. Questo interferisce con la stimolazione dei sensi. Tutto ciò entra nella relazione con figure adulte di riferimento e altera questa relazione».

Il risultato qual è?

«Si generano ritardi nel linguaggio verbale, disturbi di attenzione e disregolazioni emotive, cioè si perde la capacità di gestire esperienze negative come ad esempio rabbia e frustrazione. E questo avrà effetti sulle relazioni future. Ma anche nei più grandi abbiamo esperienze in tal senso. Poi c’è la salute fisica, perché un uso smodato ha un effetto anche sul sonno. Il cellulare ormai accompagna il bambino anche in camera da letto e disturba la produzione della melatonina necessaria ad addormentarsi».

Quali i segnali che devono preoccupare I genitori?

«Uno dei comportamenti più importanti è la tendenza all’isolamento. Avviene quando un bimbo preferisce restare solo piuttosto che vivere le relazioni nel mondo reale con gli amici, o quando presenta un calo del rendimento scolastico dovuto a una frammentazione della sua capacità di attenzione. Oppure dobbiamo allarmarci anche quando vediamo che si sveglia di notte, quando perde la consapevolezza del tempo trascorso on line, quando ci sono rabbia e sbalzi di umore. Infine quando si reagisce male a situazioni che non dovrebbero essere particolarmente stressanti. Bisogna monitorarli e, in presenza di certi segnali, dobbiamo rivolgerci a figure competenti»

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