Ravenna, infermiera assolta. I giudici: "Inquinata potenziale prova"

RAVENNA. Più che una motivazione alla base dell’assoluzione per Daniela Poggiali, la sentenza scritta dal presidente della Corte D’Assise d’appello di Bologna Orazio Pescatore sembra un “atto di accusa” verso una parte del personale amministrativo dell’ospedale Umberto I di Lugo. «È evidente - scrive il giudice nelle motivazioni depositate ieri mattina - che il personale amministrativo (e in primis il dottor Taglioni e la dottoressa Zoffoli) ha proceduto, esorbitando con tutta evidenza dai propri compiti istituzionali, a indagini proprie della polizia giudiziaria, essendo le stesse pacificamente e dichiaratamente finalizzate a trovare il riscontro concreto di un sospetto omicidio mediante avvelenamento di potassio». In aggiunta il magistrato sottolinea come gli accertamenti effettuati internamente fossero stati eseguiti con un possibile autore dei fatti già ben identificato. Ossia proprio l’ex infermiera Daniela Poggiali. E questo disattendendo ogni garanzia prevista dal codice di procedura penale. «Tale modo di agire - precisa - ha arrecato alle indagini un vulnus di correttezza e genuinità di acquisizione della prova non più recuperabile in seguito».
La morte della Calderoni
Nelle 35 pagine di motivazioni due elementi, prima di tutto, vengono messi nero su bianco con chiarezza: Daniela Poggiali non uccise Rosa Calderoni quell’8 aprile di cinque anni fa e quest’ultima non morì a causa di una iniziazione letale o sub-letale di potassio. Per di più viene aggiunto che il furto di due fiale di potassio avvenuto qualche giorno prima, e denunciato internamente da una infermiera in servizio, qualora fosse avvenuto comunque non fu eseguito dall’imputata.
Ma è su quella che nel processo di primo grado era stata la prova regina, ovvero il deflussore attribuito alla paziente 78enne deceduta, che Pescatore ha dedicato la maggiore attenzione. Secondo il giudice il reperto recuperato quella mattina da Taglioni nei locali ex cucina - dove da alcuni giorni venivano stoccati i presidi sanitari per via delle indagini interne sulle morti sospette - non sarebbe affatto stato della Calderoni. E la globalità del campione, ossia il deflussore dove venne trovato il potassio e l’agocannula attaccata, «è stata sicuramente manomessa». Manomessa da chi? Una domanda che a questo punto diventa primaria per tutto quello che ne conseguirà, perché i magistrati hanno ritenuto che sicuramente Daniela Poggiali quel giorno non mise in essere alcun depistaggio o tentativo di depistaggio.
Nuove indagini
È così che si arriva ai capitoli finali di una sentenza complessa ma scritta in tempi record e depositata in tribunale con una settimana di anticipo rispetto alla scadenza fissata. La corte d’assise d’appello di Bologna ha infatti rimandato gli atti alle procure di Ravenna e Bologna, chiedendo loro di indagare sui reati di calunnia o simulazione di reato e di falsa testimonianza a carico dell’allora direttore sanitario Ivonne Zoffoli e del dirigente infermieristico Mauro Taglioni.
Nella ricostruzione eseguita dalla corte già dal 2 aprile, con la prima morte sospetta nel reparto di medicina dell’Umberto I, il personale amministrativo diede il via a una indagine interna per capire cosa stesse effettivamente accadendo. Riscontri e analisi andati avanti per oltre una settimana e terminati solo grazie all’intervento del dottor Spagnoli, che il 9 aprile decise finalmente di informare la Procura. Purtroppo però, stando al giudice Pescatore, il danno ormai era già stato fatto.
In particolare la prova principale del processo, ovvero deflussore e agocannula dove nel primo venne trovato il potassio e nel secondo invece no, potrebbe essere stata addirittura manomessa. Per di più la corte ricorda con forza come in un primo momento le analisi della dottoressa Zoffoli sulla presenza di potassio nel deflussore diedero esito negativo. E solo successivamente vennero “smentite” dalla stessa Zoffoli, che disse di aver sbagliato a leggere i risultati. Una circostanza a cui tuttavia la corte d’appello non sembra credere affatto. «Una tale negligenza - scrive - appare incomprensibile e difficilmente credibile». E va ricordato che il referto di quei risultati non è mai entrato nel processo, perché ancora oggi si troverebbe conservato dentro l’ospedale. Dato che quando la polizia giudiziaria andò sul posto per le perquisizioni la Zoffoli non disse nulla di quei documenti.

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