Ravenna, in lite per l’eredità. La prefettura gli revoca il porto d’armi, il Consiglio di Stato glielo ridà

Ravenna
  • 11 novembre 2025

RAVENNA - Fratello e sorella in lite da anni per l’eredità materna, con tanto di accuse di falsificazione del testamento e annesse battaglie legali: una situazione di conflittualità aspra, tanto che la Prefettura ha revocato all’uomo il porto d’armi regolarmente detenuto, ritenendo che il soggetto «non offrisse più la garanzia di affidabilità necessaria». Ma il Consiglio di Stato nei giorni scorsi ha dato torto al Palazzo del Governo accogliendo il ricorso dell’uomo: nell’atto impugnato, infatti, mancherebbe, «una motivazione sufficientemente congrua e coerente». La revoca del porto d’armi va dunque annullata e la pistola può tornare al suo possessore, in attesa di «una più approfondita rivalutazione amministrativa» sulla questione.

Questo, al momento, il primo esito di una vicenda che si trascina da anni fuori e dentro le aule di tribunale: convitata di pietra è la madre defunta dei fratelli che si contendono gli immobili al centro dell’eredità. E al centro dei dissapori fra i due, che pure si sono fatti causa l’uno contro l’altro più volte. Una storia familiare difficile di cui il decreto prefettizio di revoca della licenza fa una riepilogo eloquente: la prima denuncia contro la sorella - per sottrazione di cose comune - risale all’ormai lontano 2014 ed era finita con una archiviazione. Nel frattempo le acque non si sono calmate, anzi: nel settembre del 2021 l’uomo ha chiesto al tribunale civile con un formale atto di citazione «la rendicontazione bancaria dei conti correnti della madre» e contestualmente ha impugnato la scheda testamentaria, mentre un mese dopo ha fatto partire una nuova querela contro la sorella, «accusandola di aver falsificato una scheda del testamento olografo della madre».

La faccenda, anche in questo caso, si è conclusa con una archiviazione da parte del giudice per indagini preliminari. A quel punto, però, la sorella ha risposto pan per focaccia, denunciando il fratello per calunnia: il procedimento penale apertosi a carico dell’uomo, si legge nel parere definitivo del Consiglio di Stato, risulta «tuttora pendente». Insomma, una lunga scia di accuse e contraccuse, ma ad oggi, come fatto notare in sede di ricorso amministrativo, l’uomo «per i dissidi familiari intercorsi con la sorella non ha subito condanne».

Nonostante ciò, «l’esistenza di una situazione di accesa e perdurante conflittualità determinata da questioni familiari legate alla successione ereditaria di beni immobili» - così recita il provvedimento prefettizio che vieta la detenzione di armi, risalente al 2023 - deve aver generato più di una preoccupazione alle autorità, portando alla revoca della licenza. Una decisione rivendicata dal Viminale davanti al Consiglio di Stato, sostenendo la validità di addurre, alla base del provvedimento, anche «episodi isolati, laddove attestanti una situazione di accesa e perdurante conflittualità». Ma i magistrati ha deciso diversamente: nell’atto impugnato mancherebbero infatti alcuni elementi, come ad esempio riferimento a un avviso della questura di Ravenna del 2018 o i pronunciamenti di assoluzione e non luogo a procedere espressi dal giudice di pace per controversie minori. E così il porto d’armi resta per ora valido, ma il Ministero dell’Interno dovrà riesaminare tutte le carte relative in maniera più approfondita.

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