Ravenna, il racconto di Giulia che ha ucciso la figlia: l’angoscia per la casa e il bonus del 110% e il piano studiato da giorni

Ravenna
  • 10 gennaio 2024

Ha parlato per oltre un’ora e mezza. Un fiume in piena Giulia Lavatura Truninger. Lucida, in apparenza, consapevole di essere sopravvissuta al tentativo di suicidio, condannando invece a morte l’inconsapevole figlia di 6 anni, Wendy, stretta tra le braccia buttandosi giù, e Jessy, la loro barboncina di un anno. Lei invece nemmeno un segno in volto se non un punto sul labbro, unica conseguenza visibile della caduta dal nono piano, attutita dalla tettoia di protezione del cantiere del palazzo di via Dradi, dove viveva. La lesione a una vertebra è già stata operata: 40 i giorni di prognosi. Davanti a lei il sostituto procuratore Stefano Stargiotti, che ieri mattina l’ha interrogata alla presenza dell’avvocato Massimo Ricci Maccarini e di uno psichiatra dell’Ausl nella stanza dell’ospedale Bufalini, dove la dona si trova da lunedì in stato di arresto con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato.

Terrorizzata dal bonus del 110%

Nella sua testa regnava l’angoscia. La tormentava la paura di indebitarsi a vita per la ristrutturazione di una casa a Bagnacavallo cointestata con il padre, per la quale era convinta di non ottenere il bonus del 110%. Un chiodo fisso quelle pratiche, che sembravano non essere andate in porto e che avrebbero comportato secondo lei un esborso di 600mila euro. Quello il primo pensiero, ribadito più volte anche nel lungo post a tratti delirante pubblicato su Facebook prima di lanciarsi nel vuoto.

Ha lamentato le tensioni con il marito, col quale aveva avuto un litigio via sms prima di Natale mentre lui era all’estero per lavoro, in qualità di esperto in piattaforme offshore. L’argomento, sempre il “110%”, con le paure che le avvelenavano la mente. Ma soprattutto le pressioni del padre, ingegnere come lei, che a suo dire la assillava sulle procedure burocratiche.

Il conflitto con il padre

Ha parlato a lungo del genitore, insieme al quale aveva lavorato una decina di anni fa. Una figura ritenuta invadente, insoddisfatta sulle scelte lavorative compiute, nonostante gli studi, la laurea in ingegneria civile e il master per l’abilitazione all’insegnamento, che le aveva permesso di ottenere incarichi come supplente, arrotondando poi a casa con lezioni private di matematica e fisica. Sempre al padre ha imputato presunte aderenze con il Centro di salute mentale per farla ricoverare e allontanarla dalla sua bambina.

Acquisite le cartelle cliniche

La 41enne, in effetti, era seguita da anni, alle prese con un disturbo bipolare della personalità. Due i trattamenti sanitari obbligatori ai quali era stata sottoposta. L’ultima visita a fine novembre. Le pillole, invece, doveva continuare a prenderle ma da quello scritto su Facebook non ne poteva più di quegli «strani farmaci lobotomizzanti». Le indagini condotte dalla Squadra Mobile hanno portato all’acquisizione delle cartelle cliniche del Csm, sentendo anche alcuni medici che seguivano la donna.

Sul corpo della piccola Wendy non è stata disposta autopsia. Più probabile un’analisi del sangue per escludere la possibilità che la madre le abbia somministrato sostanze prima di prenderla in braccio per l’ultima volta.

Un gesto premeditato da giorni

Lo stesso post sul social network, con quell’incipit raggelante, “Perché l’ho fatto”, ha raccontato di averlo studiato per giorni, buttato giù a più riprese maturando l’intenzione di togliersi la vita portando via con sé quanto di più caro aveva al mondo. Un mondo ritenuto insopportabile, talmente crudele da scegliere per loro la morte come unica via di salvezza.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui