Ravenna, il chirurgo di Albertosi e delle sfide (quasi) impossibili. «Operiamo al cuore anche i centenari»

Ravenna

Oltre trent’anni di carriera, centinaia di interventi, altrettante vite salvate, 160 pubblicazioni e pagine di curriculum tra cui spicca il ruolo di responsabile del laboratorio di interventistica cardiovascolare e strutturale del Maria Cecilia Hospital, eccellenza italiana nel ramo della cardiologia. Basta questo a dare l’idea del profilo professionale di Fausto Castriota, il cui nome – in una bizzarra società mediatica – in questi giorni ha fatto il giro delle redazioni di tutta Italia per una operazione per lui relativamente di routine, quella compiuta con successo sul cuore dell’ex portiere della nazionale Enrico “Riky” Albertosi, che lo ha poi ringraziato pubblicamente.

Sorride Castriota, appena uscito dalla sala operatoria per un’intervista: «Albertosi? Dovrebbe vederlo, 84 anni ed è ancora un figo pazzesco». Esordisce.

Professore, cosa rende Maria Cecilia Hospital un punto di riferimento della chirurgia endovascolare e di quella “tradizionale”, perché qui arrivano pazienti da tutta Italia?

«Diverse cose, ma per cominciare direi il team di professionisti che quasi quotidianamente si confronta su ogni caso. Oltre al sottoscritto, durante le nostre riunioni ci sono cardiologi interventisti, cardiologi clinici, cardio anestesisti e cardiologi specializzati nel cosiddetto “Imaging cardiovascolare”. E’ solo dopo questo confronto tra diverse specifiche professionalità che decidiamo quale possa essere il miglior percorso per il paziente. Per alcuni si opta per la cardiochirurgia tradizionale e per altri per quella cosiddetta “not open”».

Per i non addetti ai lavori mi passa la distinzione tra operazioni con apertura del torace e quelle mini invasive?

«Diciamo di sì, anche se ormai anche i chirurghi “tradizionali” utilizzano spesso tecniche diverse rispetto a una ventina di anni fa, con solo piccole incisioni».

Maria Cecilia è sempre più un’eccellenza proprio per alcune tecniche meno invasive?

«Sì, ad esempio siamo tra i pochi in Italia che eseguono interventi cosiddetti di triclip sulla valvola tricuspide, facciamo anche molte Tavi, acronimo di trans cateter valvic implantation, e curiamo con protesi particolari gli aneurismi dell’aorta. Ma oltre a essere un centro dove questi interventi vengono fatti, siamo anche una struttura accreditata per certificare la professionalità e la formazione dei colleghi di altri ospedali».

Quanti interventi fate ogni anno?

«Indicativamente circa 180 tavi l’anno, mentre per le mitraclip sono circa una trentina, diverse decine per le protesi dell’aorta, Consideri che potremmo farne anche di più, ma ovviamente si tratta di operazioni molto costose. La vede questa pinza? – chiede tenendo in mano una molletta grande meno di mezzo centimetro – questa è quella che abbiamo utilizzato per l’intervento di Albertosi, serve per allargare la valvola mitrale (una vena del cuore, ndr) e noi riusciamo a inserirla passando dalla vena femorale, il tutto a cuore battente».

Effettivamente è piccola

«Bè, solo quella costa 20mila euro. Una protesi per l’aorta circa 10mila. E’ chiaro che esiste anche un limite di tipo economico».

L’aumento degli interventi mini invasivi cosa comporta?

«Diverse cose; compreso il fatto che ora si è alzata l’età dei pazienti operabili, basti pensare che le linee guida della cardiochirurgia ci dicono già che dopo i 75 anni gli interventi open andrebbero evitati».

E ora?

«Due anni fa ho operato una donna di 100 anni, solo 15 anni fa sarebbe stato impensabile».

La chirurgia ha fatto passi importanti solo nelle tecniche di intervento?

«Non solo, ora abbiamo software che ci permettono di avere una ricostruzione in 3d di un cuore del tutto realistica, questo significa che possiamo simulare un intervento prima di farlo. E c’è altro».

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Cosa?

«Il cosiddetto remote proctoring, o supporto in remoto».

Cioè?

«Detto in poche parole grazie ai dei google glass (occhiali per la realtà aumentata, ndr) a distanza riesco ad entrare in sala operatoria e vedo quello che un collega sta facendo esattamente come lo vede lui. E’ un metodo nato per necessità durante il covid. Ma pochi giorni fa ho seguito un collega che stava operando a Udine».

Oltre alle gratificazioni in ambito medico e scientifico, cosa vi rende particolarmente orgogliosi del vostro lavoro?

«Qualche giorno fa abbiamo letteralmente salvato la vita un uomo che si era sottoposto a esami in teoria non urgenti. Un mio collega ha notato la chiusura quasi totale della carotide. Se non lo avesse visto sarebbe morto in pochi giorni».

Ma poi i giornalisti arrivano solo per il nome famoso...

«Non importa – dice aprendo un cassetto pieno di lettere – poi arrivano queste. Guardi che belle: sono scritte a penna, alcune con buste attaccate con lo scotch e fogli ricavati da pezzi di agenda strappati».

In una si legge: “Da quando mi ha ridato la vita la considero uno della mia famiglia” .

«Le soddisfazioni sono queste».

Un’ultima domanda, ma la centenaria come è stata dopo l’operazione?

«La Giulia? Bene. La rivedo la prossima settimana. Ora di anni ne ha 102 e fa la miglior crostata che abbia mai mangiato. Mi manda pure le sue foto su whatsapp. Guardi questa». C’è Giulia che ride, è al mare, su un pedalò.

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