Ravenna. Esposto contro il vescovo e l’Ausl sul mistero dell’ostia diventata sangue

Ravenna

Un esposto in Procura sulla distruzione dell’ostia della chiesa di Savarna, trovata e poi trasformatasi in apparenza in sangue. L’azione legale è di un gruppo di fedeli. Non si sono arresi di fronte alle risposte ritenute evasive ottenute dalla Diocesi e dal laboratorio analisi dell’Ausl di Pievesestina, che hanno escluso la possibilità di un miracolo nella misteriosa colorazione “rosso-sangue” assunta da un’ostia rinvenuta il 28 gennaio 2023 sotto un banco della chiesa di Santa Maria Assunta. Per questo si sono rivolti all’avvocato forlivese Francesco Minutillo, che ha interpellato la Procura ravennate sollevando dubbi e inquietudini sulla gestione della vicenda da parte della Curia ravennate e dell’azienda sanitaria, arrivando a ipotizzare il reato di “vilipendio di cose destinate al culto”, previsto dall’articolo 404 del codice penale.

Trovata dalla sacrestana

Fu la sagrestana Manuela Segurini a notare l’ostia consacrata caduta a terra, dopo la messa delle 18. Era un sabato, giorno di San Tommaso d’Aquino. Come previsto dalla prassi liturgica, l’ostia fu immersa in acqua benedetta in un purificatore e riposta nel tabernacolo. La mattina seguente la stessa ostia aveva assunto un colore rossastro, evidente al punto che molti credenti interpretarono il fenomeno come un evento prodigioso.

Il parroco, don Nicolò Giosuè, scelse la cautela e la scienza: si rivolse cioé alla dottoressa Maria Cristina Antonini, anatomopatologa di Schio, chiedendole di analizzare la particola. Il risultato rilevò la presenza di materiale biologico ematico misto a granulociti, pur non riuscendo a determinare se si trattasse di sangue umano.

L’intervento della Curia

Fino a quel momento il segreto era rimasto entro i confini della parrocchia, troppo stretti per impedire che la voce giungesse al vescovo Lorenzo Ghizzoni. A quel punto fu la Diocesi a prendere in carico l’ostia per affidarla all’Ausl Romagna. Prima di consegnarla al laboratorio di Pievesestina, il “Corpo di Cristo” fu travasato dal “purifichino” (il calice di vetro per purificare le dita dopo aver distribuito la Comunione) a un vasetto sigillato nel tabernacolo di una cappella custodita dalle suore a Bologna.

Dal centro analisi dell’azienda sanitaria arrivò tuttavia il deludente responso, escludendo la presenza di sangue umano. Rivelazione che tuttavia non placò i fedeli; non soddisfatti delle risposte ottenute dai canali ufficiali, al momento di chiedere la restituzione dell’ostia furono informati che era andata persa. Lo scorso giugno la storia è divenuta di dominio pubblico, occupando le colonne del Corriere Romagna. E ora si apprende che proprio alcuni fra i parrocchiani di Savarna non si sono messi l’anima in pace.

I dubbi nell’esposto

Con l’avvocato Minutillo i fedeli puntano il dito contro la gestione dell’intera vicenda, che avrebbe mancato di trasparenza e rispetto verso qualcosa di sacro e centrale nella dottrina cattolica. Nell’esposto, vengono denunciati diversi aspetti: la distruzione dei campioni biologici e dell’ostia, secondo il legale, da trattare come oggetto di culto. Viene ravvisata dal legale anche una violazione dei doveri d’ufficio da parte dell’Ausl Romagna, con una comunicazione avvenuta tramite messaggio Whatsapp, priva di formalità istituzionali, oltre a una mancata tracciabilità dei reperti. Infine si contesta l’accordo di riservatezza tra Diocesi e Ausl, che avrebbe impedito una maggiore trasparenza su un caso di interesse pubblico.

Infine l’avvocato chiede il sequestro di eventuali residui biologici e chiarimenti sulle modalità di gestione dell’intera vicenda da parte dell’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni e del professor Vittorio Sambri, responsabile delle analisi dell’azienda sanitaria romagnola. In sintesi, dicono, se né scienza né religione vogliono fare luce sul caso del «presunto miracolo eucaristico», allora ci pensi la giustizia.

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