Ravenna, appello Minguzzi: la procura chiede nuova perizia e confronto tra consulenti

Ravenna

RAVENNA - Questa mattina è iniziato davanti alla Corte d’assise d’appello di Bologna il processo per l’omicidio di Pierpaolo Minguzzi, studente universitario di Alfonsine e carabiniere di leva a Bosco Mesola. Minguzzi fu sequestrato nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1987 e trovato morto nel Po’ di Volano il 1° maggio successivo. Gli imputati sono Angelo Del Dotto, Orazio Tasca e Alfredo Tarroni. I primi due, oggi rispettivamente di 61 e 60 anni e all’epoca carabinieri ad Alfonsine, e il terzo, un ex idraulico di 68 anni, erano stati tutti assolti in primo grado dal Tribunale di Ravenna il 22 giugno 2022 per non aver commesso il fatto. Nelle motivazioni della sentenza, però, la Corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Michele Leoni aveva indicato che la morte del giovane fosse riconducibile a “un omicidio di stampo mafioso”.

La Procura ravennate aveva richiesto l’ergastolo. Attualmente, il ricorso presentato dal sostituto procuratore Marilù Gattelli e i ricorsi depositati dai familiari della vittima, la madre Rosanna Liverani e i fratelli Giancarlo e Annamaria Minguzzi (assistiti dagli avvocati Luca Canella, Elisa Fabbri e Paolo Cristofori), insistono sulla responsabilità degli imputati. Il caso era stato chiuso come irrisolto per trentasette anni e riaperto nel 2018 con nuove indagini condotte dalla Squadra Mobile ravennate.

Tra gli elementi principali dell’accusa c’è un altro grave episodio avvenuto ad Alfonsine nel luglio successivo al delitto Minguzzi, che portò all’arresto dei tre imputati: l’estorsione ai Contarini, un’altra famiglia di imprenditori del settore ortofrutta. Ai Contarini fu richiesto un riscatto di 300 milioni di lire, lo stesso importo chiesto dai rapitori alla famiglia Minguzzi. Il ricatto si concluse tragicamente: durante la consegna del denaro, Del Dotto, Tasca e Tarroni furono sorpresi in un agguato organizzato dai carabinieri. Del Dotto sparò utilizzando l’arma portata da Tarroni, uccidendo il carabiniere Sebastiano Vetrano, di 23 anni; i tre furono condannati a pene comprese tra 22 e 25 anni.

La Procura generale e le parti civili hanno chiesto di ascoltare nuovamente il consulente fonico dell’accusa e, se necessario, disporre una nuova perizia fonica sulle intercettazioni telefoniche dell’epoca. Queste registrazioni riguardano la voce del telefonista anonimo che chiamò la famiglia Minguzzi dopo il sequestro, e le chiamate dell’estorsione ai Contarini effettuate da Tasca. Durante il processo in primo grado, l’esperto nominato dal pm, l’ingegner Sergio Civino, aveva riscontrato una forte corrispondenza tra le due voci, mentre il perito nominato dalla Corte, il professor Luciano Romito, aveva espresso un parere opposto. Per questo motivo, la pubblica accusa propone anche un nuovo confronto tra i due esperti prima della discussione finale. La Corte, presieduta dal giudice Orazio Pescatore, si riserverà di prendere una decisione la prossima settimana.

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