Quota 100, legittima la maxi sanzione per un giorno di lavoro

Ravenna
  • 18 novembre 2025

RAVENNA. Questioni di legittimità costituzionale “inammissibili”. Dovrà essere il giudice a decidere di volta in volta quanti mesi di pensione sospendere qualora un pensionato Quota 100 “sgarri”, percependo un qualsiasi compenso per una prestazione lavorativa. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con una sentenza destinata a fare discutere.

A chiedere l’intervento della Consulta era stata un’istanza del Tribunale del lavoro di Ravenna, chiamata a decidere riguardo al caso del 67enne, che andato in pensione con grazie al meccanismo di Quota 100, aveva poi lavorato per un giorno per un’azienda agricola di San Pancrazio, salvo poi pagare un conto centinaia di volte più salato. Otto ore di vendemmia gli erano infatti valse nel settembre del 2020 un compenso di circa 84 euro, a fronte del quale, però, l’Inps gli ha riservato dodici mesi dopo una doccia fredda, chiedendo la restituzione di ben 23.949 euro: l’ammontare complessivo della pensione di un anno.

L’istituto previdenziale gli contestava di avere disatteso uno dei requisiti previsti dalla legge sulla pensione anticipata, che vieta a chi beneficia della Quota 100 (che riguarda quei lavoratori la cui età anagrafica sommata agli anni di contributi raggiunge appunto la soglia “cento”) di svolgere qualsiasi attività lavorativa, anche al di sotto del limite dei 5.000 euro concessa ai “comuni” pensionati.

Ne era scaturita una battaglia legale tra il 67enne, tutelato dall’avvocato Manuel Carvello, e l’Inps, approdata davanti al giudice del lavoro ravennate: ma quest’ultimo aveva rinviato il tutto alla Corte Costituzionale, sollevando dubbi proprio circa la costituzionalità della norma che vieta, per i Quota 100, di cumulare la pensione con un reddito da lavoro dipendente o autonomo. Tra le motivazioni addotte dal magistrato, la violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza in cui sarebbe incorsa l’Inps: secondo il giudice bizantino, sarebbe stato “più corretto limitare l’ablazione al periodo mensile interessato da un rapporto di lavoro”.

La Consulta, con una sentenza pubblicata in questi giorni, ha risposto picche, ma senza entrare nel merito della questione. Su un caso simile si è espressa infatti la Cassazione nel 2024 con una sentenza che, allo stato attuale, rappresenta ancora un unicum, sancendo appunto la non cumulabilità della pensione e del reddito da lavoro per i “Quota 100” e la consequenziale perdita di tutte le mensilità dell’anno. Un precedente che a detta del giudice del lavoro ravennate limiterebbe invece il suo “spazio di manovra per un’interpretazione conforme a Costituzione”, rendendo quindi necessario un pronunciamento della Corte per dirimere la questione. Ora la Consulta ritiene che sia di competenza del Tribunale del Lavoro “procedere all’interpretazione della disposizione censurata confrontandosi con il citato precedente giurisprudenziale, che tuttavia non radica una situazione di «diritto vivente»”.

Tradotto: il giudice può interpretare sulla revoca o meno dell’intera annualità della pensione, oppure della sola mensilità. Il magistrato bizantino avrebbe potuto sentenziare in materia senza sollevare dubbi sulla legittimità costituzionale della legge. Perché - seppure in numero ancora esiguo - non mancano i casi di tribunali che abbiano disatteso il pronunciamento della Cassazione.

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