«Non c’è inquinamento e manca la legge». Nessun reato, così l’inchiesta sul “Cimitero delle navi” di Ravenna finisce sepolta

Manca una legge, una norma, un reato che tratti nello specifico la questione dei relitti abbandonati nel porto. Manca anche, stando alle analisi, traccia di inquinamento dovuto a quel che resta delle tre imbarcazioni russe abbandonate e bloccate nella penisola Trattaroli del canale Piombone, le cosiddette “Tre Caravelle”. Ecco perché il giudice per le indagini preliminari Corrado Schiaretti ha archiviato il fascicolo sul cosiddetto “Cimitero delle navi”. Caso chiuso, tombato si potrebbe dire. Proprio come chiesto a suo tempo dal sostituto procuratore Monica Gargiulo, che aveva aperto l’inchiesta sul presunto inquinamento ambientale un annetto fa, rimasta contro ignoti. Alla richiesta del pm si era opposta Italia Nostra, l’associazione ambientalista che a suon di esposti ha cercato in questi anni di portare all’attenzione (non solo cittadina) la questione dei relitti presenti nella laguna ravennate.
I relitti abbandonati da 14 anni
La storia delle tre motonavi russe trova il suo epilogo a Ravenna nel 2009. Orenburg Gazprom, Nikolaev e Vom-Gaz, ecco i nomi delle imbarcazioni, ironicamente ribattezzate come i velieri di Colombo. Dopo l’abbandono furono trasferite dal canale Piombone in un’area non banchinata antistante la penisola Trattarolli, dove tutt’ora si trovano in pessimo stato di conservazione, adagiate sul fondale e non più in grado di navigare. Nel 2017 l’Autorità portuale ha intimato all’armatore russo di rimuoverle o demolirle, senza ricevere però risposta. Il nuovo proprietario, la Nordline Logistic gmbh, si è fatto vivo ma non ha mai dato seguito al recupero. Questione di costi, probabilmente, tali da far cadere nel vuoto anche i successivi ordini di rimozione da parte di Ap, nell’aprile 2021, e l’ultimatum notificato dalla Capitaneria di porto nel luglio del 2022.
Capitolo chiuso
Così arriviamo alle indagini affidate dalla Procura alla Capitaneria, che sulla base delle analisi dei campioni d’acqua, escludono criticità dal punto di vista ambientale e non ravvisano elementi penalmente rilevanti, se non sette violazioni amministrative. Robetta, insomma. Tanto da proporre al gip l’archiviazione.
Posizione che il giudice ha sposato nel dispositivo, così motivando: «Certamente (...) allo stato non sono state rilevate fonti di inquinamento ambientale provenienti dai relitti presenti nel cosiddetto “Cimitero delle navi”». E proprio quelle imbarcazioni, «anche se non più in grado di navigare, sotto il profilo giuridico costituiscono relitto e tecnicamente, non rifiuto». Diverso, ravvisa il gip, se invece lo scafo fosse stato trasferito dal mare alla terraferma. Trattandosi dunque di relitti, la loro presenza nel porto non costituisce «alcuna fattispecie normativamente prevista» Per questo, conclude, «le illegittimità rilevate nell’esposto, pur condivisibili nei principi, non trovano alcuna tutela sotto il profilo penale». Niente legge, insomma, e nessun inquinamento. Il “Cimitero delle navi” resta lì dov’è. E l’inchiesta: sepolta.