A Ravenna attivo anche un reclutatore dell'Isis

RAVENNA. Venti uomini partiti o arrivati a Ravenna. Soldati dell’Isis morti in battaglia, potenziali terroristi disinnescati prima di entrare in azione o arrestati prima di arruolarsi. Perché tutti da qui? Perché Ravenna, dati alla mano, sembra essere sempre più la capitale italiana dei foreign fighters?

La risposta potrebbe avere un nome e un cognome. Quello di un 28enne albanese il cui nome è considerato riservatissimo. Sì perché – stando a quanto raccolto dalla Digos di Ravenna – l’uomo era un reclutatore del Califfato.

Proprio così. A Ravenna lo Stato Islamico aveva un suo uomo. Una persona che operava per trovare e selezionare combattenti operativi. Gente da mandare in Siria o peggio ancora cani sciolti da far agire in Italia o all’estero. Una notizia inquietante se si collega a quanto riferito ieri su queste colonne, in relazione all’espulsione di un 42enne marocchino fermato sempre dalla polizia, mentre stava progettando di colpire con un attentato a Ravenna a colpi di arma bianca.

Le risultanze investigative portano quindi a una direzione diversa rispetto a quella tracciata ad agosto, quando il giovane terrorista albanese venne prelevato da Castel Bolognese e accompagnato a Fiumicino, per salire su un aereo diretto a Tirana. Allora si era detto che l’uomo fosse venuto in Italia con la moglie per farla partorire sul suolo nazionale e ottenere così il permesso di soggiorno. E intanto nell’ombra portare avanti la sua missione in nome del jihad.

Le cose, in realtà, sembrerebbero leggermente differenti, ma soprattutto più inquietanti. Le riservatissime indagini della Digos di Ravenna hanno infatti appurato che l’albanese era venuto qui con uno scopo ben preciso e differente. Ovvero reclutare futuri soldati per l’Isis. Gli inquirenti sospettano addirittura che il 28enne possa essere stato mandato a Ravenna proprio dai vertici del Califfato siriano, con l’obiettivo di diffondere il verbo di Abu Bakr al-Baghdadi.

Una vita defilata

Da una parte c’è quindi la scheggia impazzita, l’emarginato marocchino di 42 anni che voleva diventare un lupo solitario. Dall’altra un soggetto del tutto diverso. Non un semplice terrorista, ma un combattente di lungo corso, nonostante la giovane età. Un uomo fermo, convinto, che quando a maggio ha mosso i suoi primi passi a Ravenna è stato subito tenuto sott’occhio. Il suo era infatti un nome di peso, noto ai servizi di polizia di tutta Europa già dal 2014, quando il servizio di controspionaggio albanese, lo Shërbimi Informativ Shtetëror, aveva deciso di diffondere la lista di 90 soggetti operativi dell’Isis. Una lista dove si trovava anche il nome del 28enne cacciato via.

Cacciato

Il 23 agosto di quest’anno, dopo quattro mesi di indagini serrate, la Digos capisce che quell’albanese è veramente troppo pericoloso. Lo hanno seguito costantemente per quattro mesi, hanno studiato le sue mosse e soprattutto il carattere carismatico. Ma la sua capacità di reclutamento – appunto almeno dieci connazionali che vivono nel Ravennate avrebbero deciso di seguirlo in appena quattro mesi – era veramente elevata. Quando decidono di fermarlo l’uomo ha già capito tutto e non ci pensa nemmeno ad opporre resistenza. Gli viene affidato un avvocato d’ufficio. Una donna, a cui l’albanese non rivolge quasi parola. Simbolo anche questo di quanto la sua fede sia radicale. Al poliziotto che l’ha fermato invece stringe la mano mettendosi una mano sul cuore. Gesto che secondo gli inquirenti deve essere interpretato come un modo per dire: «Siamo nemici, ma ti rispetto».

Davanti al giudice non smentisce di essere un tagliagole e così viene dato corso all’espulsione dal suolo italiano (la moglie è andata anche lei via da Ravenna e lo ha raggiunto di nuovo a Elbasan). Il personale della Digos lo carica in macchina e parte alla volta di Roma. Lungo il tragitto però l’albanese ha un’esigenza: deve pregare. I poliziotti decidono di rispettare la sua fede. Si fermano sul ciglio della strada e lo fanno scendere. Per questo li ringrazierà poco prima di salire sull’aereo che lo avrebbe riportato a Tirana, nella sua Albania.

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