Espulso perché stava meditando un attentato a Ravenna

RAVENNA. «Lo devo fare. Bisogna che io lo faccia. Qualsiasi cosa succeda mi devo decidere a farlo». Sono queste ed altre intercettazioni a far capire alla Digos che quelli non erano sospetti ma qualcosa di più concreto e sanguinario. Il marocchino 42enne espulso da Ravenna lo scorso 20 ottobre stava infatti meditando e pianificando un possibile attentato a Ravenna.

Sono dettagli che fanno tremare i polsi quelli che affiorano dalla riservatissima indagine della digos ravennate. Dettagli che oggi il Corriere Romagna è in grado di rivelare senza pregiudicare un’operazione di polizia che ha avuto il merito di allontanare dall’Italia un affiliato all’Isis poco prima che diventasse operativo.

Ma dietro alle intercettazioni che hanno fatto scattare il blitz della polizia ci sono un prologo e un epilogo. Il prologo vede un uomo, 42 anni compiuti quest’anno e origine del Marocco, che inizia a esprimere il desiderio sempre più concreto di tramutare la propria fede in un gesto eclatante. Un attentato, forse, che metta in luce il suo odio per l’occidente e ferisca al cuore la città in cui vive: Ravenna. L’epilogo arriva invece un mese fa esatto, il 20 ottobre, quando la Digos lo preleva dalla sua abitazione e lo espelle dal suolo italiano.

Il pericolo sfiorato

Che cosa potesse avere in mente esattamente il 42enne straniero è emerso pochi giorni prima della sua cacciata. L’uomo si aggira per le strade della città con in spalla il suo zaino. Non può chiaramente sapere di essere “intercettato” e per questo parla a ruota libera. Come in un bisogno di auto convincimento ripete a voce alta quel mantra sul doverlo «fare» a tutti i costi. Una litania dell’odio, sbocciato dentro di lui grazie al sostegno di una “fede” parafrasata a proprio uso e consumo. Le parole del profeta che diventano una miccia per innescare la rabbia contro l’occidente. Come potrebbe tramutarsi il suo rancore nessuno è in grado di dirlo, ma i timori sono fondati, perché i nervi del 42enne a ottobre sono ormai a fior di pelle. «Lo vuole fare, lo deve fare». E il teatro di morte dovrebbe essere proprio la città che lo ospita, la “sua” Ravenna.

Secondo gli inquirenti il piano del marocchino sarebbe semplice quanto sanguinario: con il coltello lungo 25 centimetri che da giorni porta dentro lo zaino potrebbe aggredire i passanti in un’operazione simile in tutto e per tutto a quella di tanti cani sciolti dell’Isis che in questo modo hanno colpito da Londra all’Australia. Aggressioni poi rivendicate via web dal Califfato.

Per arrivare a questo il marocchino ha da tempo preparato la mente e il corpo. Mani e piedi li ha forgiati sul ferro, con delle lunghe nottate trascorse sulla riva del Candiano, in Darsena. Si allena in fondo al Candiano, al buio, lontano dagli sguardi indiscreti di chi potrebbe sospettare di quelle sue follie. Lui non lo sa, ma poco lontano lo seguono gli uomini della Digos che lo vedono scaricare la sua rabbia sulle bitte di ferro del posto con calci e pugni.

La “fede”, invece, l’alimenta con la lettura del Corano, anche se, dagli accertamenti fatti, non frequenta la moschea. Il suo credo fai date è ben chiuso dentro la cerniera dello zaino che porta sempre con se, ovunque vada. Dentro ci sono infatti un copia del testo sacro e un quaderno, sgualcito. Tra quelle pagine all’apparenza non sembra esserci nulla di che, se non decine di fogli vuoti. Tranne uno, il più importante, dove il 42enne ha scritto di suo pugno una preghiera inventata da lui per Allah.

Perché Ravenna?

Ancora una volta la “piccola” Ravenna dimostra di avere due volti quando si parla di terrorismo islamico. Da un lato quello anomalo e più incredibile dei numeri, che la vede come la provincia in cui sono stati scoperti o da cui sono partiti più foreign fighter di tutta Italia (tanto da farne un caso di studio da parte dell’Ispi). Oltre una ventina in quasi quattro anni. Da qui arriva però il rovescio della medaglia che riguarda Ravenna. Perché il suo triste primato è anche il frutto di un lavoro della Digos che non lascia nulla al caso. Coordinata da due dirigenti donne, la poliziotta Monica Grazioso prima e oggi la dottoressa Ornella Lupo, coadiuvate dal vice Enzo Fiorentino e dal responsabile della sezione investigativa Pietro Vicchi, è stata in grado fino ad ora di creare un sistema senza falle, che ha svelato e continua a scoprire ogni altarino dei terroristi o presunti tali che si celano tra i sobborghi della nostra città.

Voglio partire

Questa ennesima storia di violenza, anche se fino ad ora è senza dubbio la più dura e paurosa che abbia sfiorato Ravenna, dimostra ancora una volta la capacità dell’Isis di saper radicalizzare con molta fretta i propri adepti. Soprattutto, non a caso, quelli meno equilibrati dal punto di vista psicofisico. Una scelta non casuale, anzi molto spesso “benedetta” dall’alto.

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