Da Dante a Orban, a Ravenna Patuelli e Tajani dialogano sull’Europa che non c’è

Ravenna

RAVENNA. Quando Antonio Patuelli saluta Antonio Tajani, si ha la sensazione piena della portata dell'evento: «Mi torna alla mente il giugno del 1980, l'altra volta in cui venne a Ravenna un presidente del Parlamento Europeo. In questo stesso teatro Simone Veil veniva a consegnare a Ravenna il trofeo del civismo per essere stata la città con il maggiore afflusso alle urne alle Europee del 1979. Ero ragazzo e ricordo l'emozione nell'ascoltare quella donna che era, con i suoi numeri marchiati a fuoco sul polso per essere stata una prigioniera dei campi di concentramento, il simbolo dell'Europa che rappresentava, quello della lotta ai totalitarismi». L'Europa descritta e prefigurata ieri al ridotto dell'Alighieri dal dialogo fra il presidente dell'Abi e della Cassa, Patuelli, e quella del “numero uno” dell'assemblea di Strasburgo, Tajani, è a distanze siderali da quella della dialettica di Vienna, dove nelle stesse ore erano riuniti i ministri degli Interni dei paesi del Continente. Una distanza non fisica, ma ideale

Tajani descrive un'Europa «della centralità dell'uomo, orgogliosa di ripudiare la pena di morte, dalle radici cristiane, effettive anche se non scritte nel tentativo di Costituzione. Un'identità che va difesa ritornando alla politica. Ci incontriamo qui nel segno di Dante, che è una sintesi ideale di questa identità. Che di quell'umanesimo europeo è copertina». Dante che, ricorda Patuelli, cita l'Europa «quattro volte nella Divina Commedia. Un'espressione non solo geografica, che aveva significato sin dai tempi dei greci». E se mentre parla delle divisioni campanilistiche dell'Italia ai tempi danteschi, il presidente dell'Abi sembra fare un ritratto perfetto dell'Europa odierna assicura «no, non faccio parallelismi. Ho fatto un fioretto, non parlo di politica attuale». «Io il fioretto non l'ho fatto», strizza l'occhio Tajani. E risponde piccato alla «minaccia del governo italiano» nel negare i soldi all'Ue: «Sì, noi siamo a credito di 11-14 miliardi ogni anno nel bilancio europeo – ricorda il presidente del parlamento di Strasburgo -. Ma le nostre imprese fanno affari per 250 miliardi all'anno in luogo del mercato europeo». È davvero un “dolce carco” quindi quello dell'Europa descritta dai due relatori della conferenza interna a Dante 2021, ma per la quale si è persa una strategia: «Non è possibile - conclude Patuelli - che dopo quel primo tentativo di Costituzione non si sia messo in cantiere null'altro, nemmeno per i testi unici relativi la finanza, l'economia, la sicurezza. Mi chiedo come quest'Europa senza regole possa tenere. Ma se non tiene, non ci ritroveremo nei dorati anni '50 di De Gasperi, Einaudi e Vella. Sarà il disordine, fra Stati e all'interno degli Stati».

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