Gardini, 25 anni di dolore e sospetti mai cancellati

Cosa non tornerebbe
Almerighi tratta il caso Gardini in un libro che definisce il suo intento già dal titolo: “Suicidi?”. In trecento pagine il magistrato affronta e analizza le morti di Sergio Castellari, direttore generale del ministero delle partecipazioni statali, Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, e proprio di Raul Gardini. I primi dubbi di Almerighi girano attorno alla pistola.
Questa venne trovata sul comodino della stanza da letto, ma si giustifica con il fatto che i barellieri dell’ambulanza, arrivati sul posto, testimoniarono di aver sentito Gardini respirare e per questo spostarono tutto (forse anche la pistola) e portarono in tutta fratta il corpo in ospedale. Ma ciò che non tornerebbe in merito all’arma sono le impronte. Quelle di Gardini non c’erano. Dal guanto di paraffina non risultarono poi tracce di polvere da sparo sulle mani del ravennate, così come tracce non vennero trovate né sui cuscini né sulle lenzuola. Nonostante il “corsaro” si sarebbe inferto il colpo ferale proprio seduto sul suo letto.
Parliamo poi dell’autopsia. Vennero trovati due elementi particolari: il primo era una frattura alla base cranica e la seconda una ecchimosi sotto l’occhio. Secondo i medici legali furono la conseguenza dello sparo in testa, ma secondo un altro parere potrebbero essere il risultato di una precedente colluttazione. Infine il famoso biglietto di addio ai famigliari, che si scoprì essere in realtà una lettera di auguri risalente al natale precedente. Frammenti di una tragedia sulla quale la giustizia italiana ha posto però per sempre il timbro del suicidio. E che a 25 anni di distanza da quel 23 luglio contribuiscono a rendere vivo il ricordo di Gardini e quel senso di vuoto improvviso lasciato dentro ogni ravennate