L'sms choc del fratello di Cagnoni: «È lui l'assassino di Ravenna»

Ravenna

RAVENNA. Ad un’amica scrisse su whatsapp «è lui l’assassino di Ravenna». Frase finora mai emersa inviata dal fratello di Matteo Cagnoni, Stefano, dopo aver appreso la notizia dell’omicidio e dell’arresto. Parole via sms (messaggio peraltro che lui stesso aveva mostrato spontaneamente alla polizia quando venne sentito) che – nel corso di una deposizione, quella di ieri in Corte d’Assise, sofferta e balbettante – il teste ha cercato di giustificare sostenendo di averle spedite sotto il condizionamento esercitato dai media.

D’altronde poco prima aveva raccontato tra mille colpi di tosse di essere stato influenzato da quanto pubblicato dai giornali. «Quando ho letto quello che era stato sottoposto a fermo e che era in quel momento l’unico indagato per la morte di Giulia, da uomo della strada mi è venuto da attribuire la responsabilità a quell’unica persona. C’è la tendenza a identificare immediatamente il sospettato per un certo reato come colpevole e io non ne sono stato esente. Al punto che pensai addirittura che avesse confessato». Sempre dai quotidiani si sarebbe poi convinto del contrario quando – smontando quindi la tesi dell’accanimento mediatico contro il dermatologo a processo per l’omicidio della moglie che ha spinto la difesa a sollevare la legitima suspicione – i quotidiani hanno scritto anche la versione del medico. «Quando mio fratello si è dichiarato innocente, come scritto dai giornali, le carte in tavola sono cambiate. A quel punto la mia convinzione ha iniziato a vacillare e ho iniziato a considerare più seriamente il fatto che stesse dicendo la verità». La riprova a suo dire l’avrebbe poi avuta quando lo incontrò in carcere e lo vide «sereno».

La spoliazione

E per la serenità del fratello, Stefano Cagnoni avrebbe accettato di ricevere in donazione o a prezzi ben al di sotto del loro valore, gli immobili di proprietà del congiunto. Atto che, come indicato in apertura di udienza dall’avvocato difensore Giovanni Trombini, verrà annullato. «Abbiamo trovato col notaio la strada corretta per far sì che i beni tornino nella piena disponibilità giuridica del mio assistito tramite la formula del mutuo dissenso». Formula che ha avuto il parere favorevole della Procura, rappresentata in aula dal procuratore capo Alessandro Mancini e dal sostituto procuratore Cristina D’Aniello. «Era una cosa che mi aveva chiesto Matteo –­ha raccontato Stefano Cagnoni – e che accettai di fare perché ebbi l’impressione che lo facesse stare più tranquillo, anche se sin dall’inizio il notaio ci fece notare che, seppur ineccepibile dal punto di vista legale, quel passaggio rischiava di essere annullabile per via delle cifre basse. Ma non ho mai messo in dubbio che quello che sarebbe spettato ai nipoti sarebbe arrivato ai nipoti». Eppure, come illustrato dal presidente della Corte, il giudice Corrado Schiaretti (a latere Andrea Galanti), quella spoliazione avrebbe potuto compromettere le quote loro spettanti in caso di ulteriore vendita o decesso, nonostante la difesa abbia fatto rilevare che il testimone non è sposato né ha figli per smontare il tema dell’aspetto ereditario. «Quelle vendite erano vere o simulate?» ha chiesto più volte il giudice ottenendo risposte sempre molto sfumate prima che, messo alle strette, ammettesse: «in famiglia sapevamo che quei beni restavano di mio fratello».

Risposte evasive

Stefano Cagnoni, che in qualità di ingegnere informatico ha spiegato di aver svolto un ruolo «puramente tecnico» nella predisposizione del calendario sulla presenza del fratello e della moglie nella gestione dei figli dopo la separazione, non è parso troppo convincente nell’attribuire un’interpretazione lessicale alle frasi intercettate mentre era al telefono col padre in cui si faceva riferimento “ad un eccesso di rabbia” e alla replica “naturalmente si dice che non è vero, che è stato qualcun altro da fuori” in riferimento all’omicidio. Parole a suo dire dette “alla toscana”, da intendere come «diciamo» nel senso che «ci sono altre ipotesi che verranno prese in considerazione». Nel corso della deposizione il fratello ha anche ammesso quella domenica, dopo aver saputo che la questura cercava il fratello dalla madre, di aver «malignamente pensato che potesse aver fatto Matteo la denuncia di scomparsa della moglie sospettando che lei fosse con l’amante». E, pur sostenendo di non aver avuto elementi per allarmarsi, quando il lunedì mattina si svegliò aveva pensato «che potesse essere successa una disgrazia a Giulia». Ma è stato quando si è affrontato il discorso dei filmati che riprendevano Matteo Cagnoni e il padre caricare e scaricare sacchi e cuscini dall’auto o quando pm, Corte e il legale dei familiari di Giulia Ballestri, l’avvocato Giovanni Scudellari, hanno chiesto a più riprese se avesse domandato spiegazioni ai familiari su come stessero le cose e perché l’imputato fosse scappato, che il fratello è parso più in difficoltà, dilungandosi in risposte talmente vaghe che hanno indotto il giudice a porre fine alla testimonianza.

Ancora assente la madre

Ieri oltre a due amiche intime del padre del dermatologo, doveva essere sentita anche la madre. Ma dopo il certificato prodotto la scorsa udienza, anche ieri la donna era assente per motivi di salute. Tanto che il sostituto procuratore Cristina D’Aniello ha rinunciato a sentirla anche per il futuro.

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