Morte del dottor Molducci: il figlio chiese alla dottoressa, "Può testimoniare in mio favore?"

Tre medici di base con un paziente in comune, il dottor Danilo Molducci, collega di Campiano che nell’arco di poco tempo passò dall’una all’altra fino al 28 maggio del 2021, quando morì improvvisamente all’età di 67 anni. Sono state chiamate tutte a deporre come testi dell’accusa, che vede nel decesso del dottore un omicidio premeditato, con elementi sufficienti a portare a processo Stefano Molducci, figlio 40enne dell’uomo (residente a Castrocaro), ed Elena Vasi Susma, colf romena 52enne che assisteva l’uomo ormai in pensione e debilitato. Messe sotto torchio, le stesse dottoresse sono state sollecitate ieri dal presidente della corte d’assise, Michele Leoni, a ricordare quali fossero le condizioni del collega, i periodi esatti nei quali lo presero in cura e se prima di visitarlo controllassero la cartella clinica, necessario a parere del giudice, per non sottovalutare casi critici; e «Molducci - questo il suo commento rivolgendosi alla prima delle tre testimoni - mi pare che ne avesse dei problemi gravi, tant’è che dopo un po’ è morto». Passaggio - quello del giudice - che sembra al momento escludere cause diverse da una morte naturale.

Le richieste sospette del figlio
L’ipotesi accusatoria è invece orientata in una precisa direzione: il figlio del 67enne avrebbe mascherato l’omicidio servendosi della badante per imbottirlo di psicofarmaci e antidepressivi che il genitore già assumeva in grande quantità. Questo perché il dottore aveva deciso di estrometterlo dalla gestione del proprio patrimonio alla luce di perdite milionarie. Non una morte naturale, insomma, ma un delitto pianificato e alimentato da movente economico. Vanno in questa direzione le stranezze rilevate dal sostituto procuratore Angela Scorza nel comportamento del 40enne a ridosso della morte del padre, ed emerse dalle deposizioni delle tre dottoresse. In comune hanno un altro aspetto: il figlio le contattò tutte, per avvisarle del trapasso del genitore. Lo fece con la dottoressa Elena Placci, che ebbe in cura Molducci dal giugno 2016 a metà aprile 2021, circa un mese e mezzo prima di morire. Il 7 giugno di quell’anno «Stefano mi chiamò in ambulatorio chiedendomi se fossi disponibile a testimoniare a suo favore dichiarando che il padre assumeva stupefacenti di sua iniziativa». Particolare anche la confidenza fatta dall’imputato alla dottoressa Daniela Lorenzi, ultimo medico scelto dal padre: «Il giorno del decesso venne in ambulatorio per chiedermi il certificato di morte il riscontro autoptico. Me lo chiese per sapere se ci fossero delle contestazioni da parte della compagna del papà. Stefano mi diceva che la badante del padre era stata denunciata in quanto autrice di ricette false e siccome il padre abusava di psicofarmaci la voleva tutelare dall’accusa di omicidio». Messaggi Whatsapp anche alla precedente collega di studio che lo ebbe in cura fino al 2015, alla quale il 40enne scrisse il giorno dopo il lutto, “Devo darti una brutta notizia, mio padre è morto», sbilanciandosi pure sulle cause: “Probabilmente embolia polmonare”.

Lo studio «era un porto di mare»
Non è l’unica stranezza fra quelle emerse ieri in aula, a suffragio dell’ipotesi accusatoria. Sospetto anche l’ultimo cambio di medico di base. Pochi giorni dopo fu lui stesso a ricontattare la dottoressa Placci: «Gli risposi che si era cancellato e che doveva rivolgersi al nuovo medico curante. Lui mi sembrò sorpreso, probabilmente non lo sapeva». Quanto alle ragioni dello spostamento, «non mi disse mai nulla in proposito». La causa l’avrebbe invece rivelata il figlio alla nuova collega durante il colloquio a caldo, il giorno del lutto: «Mi riferì - queste le dichiarazioni della dottoressa Lorenzi finite agli atti - che il padre aveva cambiato medico per via di un dissidio riguardo la prescrizione di farmaci». Farmaci che il 67enne è notorio assumesse in grandi quantità, come riferito dalla dottoressa Farneti, che dal 2009 condivise l’ambulatorio con lui, nella sua casa/studio di via Violaro a Campiano. Divenuta «un’amica di famiglia», ha confermato il fatto che il dottore si autogestisse nelle cure. «Era stimatissimo e di grande esperienza, non potevo imporgli terapie». Che avesse disponibilità di grandi quantitativi di medicinali «era evidente, riordinando abbiamo trovato scatole e blister di benzodiazepine». La spiegazione, secondo la teste, era che «casa sua era un porto di mare per pazienti o amici di famiglia», per i quali «faceva forse troppo», tenendo aperto l’ambulatorio «fino alle 4 di mattina». Dichiarazioni che potrebbero fare gioco alle difese di figlio e colf, assistiti dagli avvocati Claudia Battaglia e Antonio Giacomini, orientati a sostenere che quegli acquisti spropositati di psicofarmaci e antidepressivi effettuati dalla colf con le ricette sospette di Molducci servissero ad altro, e non a uccidere il dottore con l’overdose di benzodiazepine e antidepressivi effettivamente riscontrati dagli esami tossicologici.

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