La movida a Marina: "Locali in regola, ma in strada c'è di tutto"

RAVENNA. Regolarmente senza regole; sembra questa la sintesi di “un tranquillo weekend di paura” a Marina di Ravenna. In realtà ciò che si è visto venerdì sera è ciò che accade nel cuore pulsante di ogni città metà di turismo e svago; semplicemente c’era molta più gente in giro, anche perché il clima era incentivante.
La polemica nasce dai continui assembramenti fuori dai locali, che invadevano quel tratto pedonalizzato di via delle Nazioni, a ridosso dei più rinomati locali notturni. Tutti senza mascherina, tutti vicini per parlarsi meglio, però non tutti col bicchiere in mano. Eh già, questo è un particolare non da poco e molti gestori non ci stanno a passare per degli speculatori.
«Sicuramente nella nostra area c’era solo gente seduta ai tavoli, che poteva consumare in piena sicurezza, perché noi non serviamo in nessun altro modo – specifica la proprietà del Mo.Wa, uno dei locali più in voga –. Venerdì c’era davvero più gente in strada, ma nessuno o pochissimi con bicchieri in mano; non è facile impedire alle persone di girare per strada, non è nemmeno nostro compito fuori dal nostro locale».
Certamente la scena non era paragonabile a quelle della scorsa settimana a Milano Marittima – con tanto di incursione nell’autovettura della Polizia locale –, ma forse il parlarne vuol essere una sorta di prevenzione. Il prefetto di Ravenna Enrico Caterino aveva ammonito riguardo a certi comportamenti, avvertendo della linea dura per arginare questi episodi.
«Tutto questo è un paradosso, noi abbiamo le mani legate, rispettiamo le regole scrupolosamente – commenta Michele Giangrandi, titolare dell’iconico I Fanti, dove è possibile mangiare e bere –. I controlli delle forze dell’ordine sono costanti ed è giusto così, possono attestare ciò che diciamo; i nostri bicchieri sono brandizzati con il logo del locale e quindi è facile vedere se chi si assembra davanti a noi sta bevendo qualcosa di nostro».
Succede infatti che per vari motivi, la clientela che non può prender da bere al banco del bar – perché il gestore glielo nega – vada a comprarlo in altri posti compiacenti, e poi inizi la passeggiata e la chiacchierata con amici, nei pressi dei locali più affollati, perché se no che gusto c’è. Nelle serate del sabato, con una clientela più giovane, alcuni bauli delle macchine fungono da open bar; l’alcol si compra nei market, spesso di basso costo per acquistarne di più, e lo si beve fuori dai locali, anche perché all’interno le norme sull’età lo vieterebbero.
«Noi siamo aperti solo nel weekend perché i numeri attuali non consentono altro, senza considerare che abbiamo molto personale in più, proprio per far rispettare le regole – spiega Gianfranco Cortesi, uno dei soci del Localito Clandestino –. Ci si affida al senso di responsabilità delle persone, anche se certe norme sembrano fatte da chi un locale non l’ha mai visto; facciamo rispettare tutti i protocolli, ma questo rischia di rendere improponibile la gestione, con l’effetto di indurre gli imprenditori a chiudere, perché stare aperti diventa un costo oltre che un rischio».

LE DIFFICOLTA' DEI GESTORI. Venerdì notte è stato anche il test ufficiale della discoteca Matilda, sempre in viale delle Nazioni, Nella zona cult della movida ravennate. «Il nostro sforzo è stato davvero grande, abbiamo deciso di prenderci una settimana in più per esser certi di lavorare in regola e sicurezza – dichiara a fine serata Mattia Montanari, uno dei gestori –. All’ingresso testavamo la temperatura e senza mascherina non si poteva entrare, avevamo il doppio del personale di sicurezza che, nelle vesti di steward, spiegava i comportamenti da adottare».
Ma la polemica della notte, purtroppo colpisce tutti. «Sarebbe ora di smetterla di generalizzare, perché noi come discoteche siamo più penalizzati – aggiunge –. Abbiamo una capienza ridotta e nonostante ciò, abbiamo deciso di far entrare ancora meno gente; questo significa incassare meno, molto meno, forse cifre che non consentono la nostra sopravvivenza, ma questo lo analizzeremo lunedì con calma».
Di certo i protocolli disposti per i locali notturni rendono molto difficile la gestione del divertimento: in particolare il distanziamento di 2 metri in pista, cosicché in teoria nella pista del Matilda potrebbero ballare 12 persone. «Questo è davvero assurdo: nonostante abbiamo delimitato gli spazi in pista è da ipocriti pensare che nei fatti venga rispettato – conclude amareggiato Mattia Montanari –; stiamo valutando come soluzione di riempire la pista con dei tavoli-cubo e permettere di viverla in sicurezza, ma è dura così, davvero dura».

IL POPOLO DELLA NOTTE. Movida indisciplinata, i locali non ci stanno ad esser criminalizzati, ma i clienti cosa dicono? «Le pare che noi ci facciamo 200 chilometri per venire qua e non bere o non voler conoscere delle ragazze? La mascherina la uso a carnevale»: questa è la risposta – ancora sobria – di un trio di ventenni di Parma, che alloggia a Marina di Ravenna.
«Alcune norme sono talmente paradossali che ti inducono a non rispettarle – dicono in simultanea Giorgia e Sara, prima di entrare in discoteca –; se entro in un locale lo faccio per divertirmi e socializzare, se mi imponi regole assurde mi costringi a fregarmene, ottenendo l’effetto contrario».
La verità sta sempre nel mezzo, talvolta l’incoscienza dei più giovani – ma anche meno giovani – gareggia con disposizioni difficilmente applicabili. «Io credo che si stia sopravvalutando la pazienza della gente, che tutta la settimana lavora e nel weekend vorrebbe solo esser libera di svagarsi – sbotta Michele, un trentenne bolognese –; di questo passo minacceranno di chiudere tutto col risultato che i ragazzi si ritroveranno in casa di amici a far le stesse cose che si fanno nei locali, anzi, con meno pudore e meno costi, quindi tutto ampliato».
Ma c’è anche chi ammette che un po’ più di educazione non guasterebbe. «Noi siamo sempre uscite divertendoci senza mai eccedere – dicono due amiche, Giorgia e Michela, di Ferrara –; veniamo qui da sempre e ci dispiacerebbe sapere che per colpa di dieci cretini Marina si spenga».

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