L’assessore al lavoro dell’Emilia-Romagna: “Gli stipendi sono troppo bassi, i giovani rivendicano nuovi diritti»


Una festa dei lavoratori da assessore regionale al Lavoro. La prima, in questa veste, per Giovanni Paglia, esponente ravennate di Avs e nome di peso della giunta De Pascale. Per lui, in questi giorni, i fronti aperti sono tanti: 48 le vertenze che vedono la Regione impegnata al tavolo delle trattative.
Paglia risponde al telefono dopo un incontro a Roma, al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, sul rilancio della bolognese Menarini, proprio nelle ore in cui da Forlì arriva la notizia dell’accordo alla Giuliani Arredamenti: aumenti in busta paga e 85 precari assunti. Un risultato positivo dopo ben 16 giorni di lotta sindacale.
Assessore Paglia, partiamo dalle parole del Capo dello Stato, che ha toccato senza dubbio il punto più attuale tra tutti i temi legati al mondo del Lavoro, quello degli stipendi: «I salari - ha detto il presidente Mattarella - sono inadeguati». Come siamo arrivati all’emergenza salariale?
«Ci siamo arrivati dopo decenni in cui in questo Paese si sono fatte leggi che, in maniera sistematica, hanno puntato ad abbattere i salari»
A quali leggi si riferisce in particolare?
«Siamo partiti 40 anni fa con la legge sulla Scala Mobile e siamo arrivati alla Fornero. In questi anni abbiamo precarizzato il lavoro, soprattutto quello più ricattabile. Parallelamente, come se non bastasse, la forza dei sindacati è diminuita. Quando si instaurano certe dinamiche il risultato non può che essere questo: non a caso siamo l’unico dei 36 paesi dell’Ocse che negli ultimi trent’anni ha visto i salari perdere potere d’acquisto».
In questi mesi anche il salario medio sloveno ha superato quello italiano.
«Non sono per niente stupito, per i motivi che dicevo».
Ormai basta una settimana di freddo fuori stagione per fare arrivare nelle case bollette del gas da 600 euro che mandano in crisi i bilanci familiari. La situazione è difficile anche per la classe media, dove si dovrebbe intervenire?
«Per aumentare il potere d’acquisto delle famiglie, a mio avviso, bisognerebbe muoversi in quattro direzioni»
Quali?
«Cancellare le leggi che in questi anni hanno causato solo danni, poi rendere più forti i sindacati, incentivare i rinnovi dei contratti di lavoro nazionali e, infine, introdurre il salario minimo per quelle categorie che non sono coperte dalle garanzie di una contrattazione nazionale. A tutto questo ovviamente andrebbe aggiunta una seria valutazione delle politiche industriali di questo Paese»
Ovvero?
«Il rischio dell’Italia è di non sapere arrestare un processo di de-industrializzazione già cominciato. Davvero qualcuno pensa che questo Paese possa campare solo di terziario non avanzato e di turismo? Io credo di no»
Pensa che anche in una terra come l’Emilia Romagna, con forti tradizioni di giustizia sociale, stia emergendo un problema di ridistribuzione della ricchezza?
«A quelle dinamiche nazionali a cui facevo riferimento prima, in questa regione abbiamo sempre cercato di contrapporre politiche di contrappeso che creassero una controtendenza. Mi riferisco al Welfare, alla sanità, agli asili nido. Ma è chiaro che i continui i tagli agli enti locali non fanno che indebolire anche la nostra possibilità di investire su politiche di giustizia sociale».
Tornando alle dinamiche globali, crede che gli eventuali dazi di Trump, per un territorio che esporta 10miliardi di beni negli Usa, potranno avere un impatto anche sulla tenuta occupazionale delle nostre imprese?
«Innanzitutto bisogna vedere se questi dazi li conferma o meno. Perché al momento l’unico dato certo del Trumpismo sono i danni che sta causando l’incertezza creata sui mercati. Il vero problema è che questa situazione sta letteralmente bloccando gli investimenti. L’importante, non solo per noi, sarebbe quindi recuperare subito la stabilità».
Parlare dei problemi del lavoro in questo Paese vuol dire parlare anche di sicurezza sul lavoro. La media nazionale è di tre morti al giorno, ed è la stessa di venti anni fa.
«Su questo tema è chiaro ci si deve muovere tutti assieme: Governo e Regione. Investire su formazione e sicurezza resta importante, ma le leggi non funzionano se manca un sistema di controllo. In questi mesi abbiamo visto che purtroppo le tragedie sono avvenute anche in aziende strutturate, vedi quella della Toyota, ma anche su questo torna la riflessione sulla precarizzazione del lavoro».
Cioè?
«Quali sono i settori dove si muore di più? Edilizia e logistica. Non a caso sono i settori dove c’è più precariato e dove sono presenti giungle di appalti e subappalti».
Tra poco la stagione turistica romagnola entrerà nel vivo, ed è plausibile che tornerà anche il dibatitto (ormai stagionale pure quello) sulla mancanza di manodopera e sui giovani sempre meno disposti a lavorare. Cosa ne pensa?
«Non vedo contraddizioni. E’ evidente che un lavoro è più appetibile in base allo stipendio e ai diritti che offre. Poi esiste un tema generazionale, unitile negarlo; perché ogni generazione si dà i suoi diritti. Se ci sono giovani che pretendono più tempo libero o glielo dai o ti organizzi in maniera diversa. Il mercato del lavoro ne deve tener conto. Detto questo c’è un altro dato di fatto che non si può negare: si è contratta la base di lavoratori da cui attingere. Sia per motivi demografici che per le politiche migratorie. I ragazzi vanno via dall’Italia e non ne arrivano da fuori. Ma non si dica che non nascono più bambini italiani. Nascono eccome, solo che nascono all’estero: sono i figli di chi è emigrato per lavoro e ora ha uno stipendio degno di questo nome».