Inchiesta sull’alluvione in Romagna, per la Procura «soldi spesi male e lavori senza progetti né controlli»

Ravenna

I soldi c’erano, ma sono stati spesi male, anzi, malissimo. Milioni di euro buttati letteralmente nel fiume, il Lamone, anziché salvare Boncellino e Traversara dalle piene del corso d’acqua che le attraversa. La bellezza 10 milioni stanziati dopo l’alluvione del maggio del 2023 avrebbero finanziato lavori affidati frettolosamente, senza un progetto ben definito, a ditte le cui competenze specifiche non erano state preventivamente accertate, e i cui interventi non sarebbero stati poi sottoposti a una verifica conclusiva che ne certificasse i risultati.

Le accuse di disastro colposo e di perdurante pericolo contenute nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato dalla Procura di Ravenna a 12 indagati - fra dirigenti attuali e passati della Protezione civile, della Regione, e responsabili legali delle imprese coinvolte - contengono cifre, protocolli e piani approvati che risalgono addirittura al 2001. Citano opere omesse o fatte male, esaminate nell’arco di 14 mesi da un’inchiesta coordinata dal procuratore capo Daniele Barberini e dal sostituto procuratore Francesco Coco, giunta a un punto di svolta con il deposito della relazione tecnica collegiale affidata ai consulenti del Politecnico di Milano, l’ingegnere idraulico Gianfranco Becciu, il geotecnico Claudio Giulio Mario Di Prisco, e l’idrologo Daniele Bocchiola.

La passerella mai demolita

A Traversara la consulenza si sofferma sulla passerella a monte dell’abitato, dove il 19 settembre 2024 il corso d’acqua ebbe la meglio sugli argini travolgendo sia la località che i 611mila euro già spesi per i lavori di ripristino disposti dopo la tracimazione del maggio 2023. Le sponde del fiume - scrivono i tecnici della Procura - presentavano «una condizione altimetrica non adeguata a contenere la portata di piena», che tra l’altro era «ben inferiore alla portata limite del progetto». Colpa di quella passerella, situata in un punto già individuato nel 2001 come zona a rischio di crollo arginale e inserita nel 2003 fra gli interventi prioritari nel piano regionale. Dal 2016 era stata chiusa al traffico per “criticità strutturali”; la relazione idraulica che già allora prevedeva fondi per 775mila euro imponeva che fosse rimossa e ricostruita per consentire l’adeguamento altimetrico degli argini.

Parola chiave: ricostruire. Invece funzionari e dirigenti avrebbero fatto ricorso per almeno sette anni a provvedimenti di «somma urgenza», senza alcuna progettazione, con un approccio definito nella relazione consegnata alla Procura, «molto superficiale». Nessuno studio che stabilisse quali dimensioni adottare, quali materiali utilizzare, dove posizionare micropali e palancole. Ben 3,9 milioni di euro se ne sarebbero andati in deroga ai limiti massimi stabiliti dal Nuovo codice degli appalti senza informare le imprese circa le dinamiche della rottura dell’argine, l’area a rischio nota da oltre un decennio né della necessità di rimuovere la passerella.

La ditta sarebbe stata incaricata direttamente, determinando l’importo dei lavori sui prezziari regionali e senza alcuna revisione, limitandosi a conclusione degli interventi a un verbale di fine lavori. Un «sistema», contesta la Procura, messo in pratica peraltro anche il giorno stesso delle rotte, sia a Traversara, il 3 maggio 2023 e il 19 settembre 2024, che a Boncellino, il 3 maggio 2023. Risulta impossibile in questo modo - secondo i consulenti - «valutare la stabilità dell’opera nei confronti di possibili future onde di piena che interessino il fiume Lamone».

Il caso Boncellino

A Boncellino, invece, l’argine collassò per 50 metri a monte del ponte della ferrovia nelle prime ore del 3 maggio 2023, scongiurando in quell’occasione la quasi certa rottura più a valle, a Traversara appunto. I lavori, anche in questo caso di somma urgenza, furono disposti per 611mila euro il giorno stesso senza alcun confronto fra le possibili ditte da incaricare e senza considerare i fondi straordinari previsti a Roma dal Dipartimento di Protezione civile.

In questo caso l’inchiesta ha passato al setaccio i 16 mesi successivi a quell’evento, fino al settembre 2024, quando l’opera appena costruita e costata 3,6 milioni di euro fu seriamente compromessa dalla nuova piena. Quell’intervento indicato sulla carta come opera di ripristino era di fatto «nuovo e difforme» e sarebbe stato eseguito senza un chiaro scopo e senza giustificare il posizionamento dei pali. Quanto alla relazione finale circa l’affidabilità dei lavori, questa viene bollata come «molto discutibile».

Fondi utilizzati altrove

Viene poi il capitolo delle risorse traghettate in altri interventi. Per l’esattezza 933mila euro stanziati nel 2022 per la messa in sicurezza delle zone di Mezzano, Villanova e Traversara, che sarebbero stati utilizzati invece a Parma grazie a una delibera regionale del 13 febbraio del 2023 che dava priorità alla cassa di espansione del torrente Baganza. L’allora responsabile dell’ufficio territoriale della Protezione civile di Ravenna si sarebbe limitato a prendere atto della proposta senza avanzare alcuna obiezione riguardo i possibili rischi che un ulteriore ritardo avrebbe comportato per Traversara e per i suoi abitanti. E così i lavori sarebbero stati messi nuovamente in coda, sospesi dietro un generico e mai concretizzato «proseguire nell’attività di progettazione». Quando il conto alla rovescia, invece, era già iniziato.

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