Il portuale e attore ravennate che ha visto negli occhi il dolore dei bimbi palestinesi
RAVENNA - «Ho visto i bambini cresciuti sotto l’occupazione, ho lavorato con loro creando un legame forte e ne è nato un amore grande per un popolo oppresso». Enrico Caravita, 48 anni, è attore e portuale a Ravenna. Una duplice veste che l’ha portato tra il 2008 e il 2010 in Medio Oriente, in Cisgiordania, per un progetto teatrale che ha coinvolto bambini di 9 e 10 anni provenienti da quattro Paesi, sponsorizzato dalla Regione e dalla Cooperativa Portuale, approdato alla Biennale di Venezia come miglior spettacolo. Ricorda ancora l’arrivo all’aeroporto di Tel Aviv quando, per passare il primo controllo fu sottoposto a una sorta di interrogatorio su tutti gli spostamenti che lui e i suoi collaboratori avrebbero compiuto. «A quello eravamo preparati», racconta. «Era il periodo dell’operazione piombo fuso - prosegue -, chiedemmo, ma non riuscimmo ad entrare a Gaza».
Un’esperienza toccante, quella con i bambini palestinesi, dalla quale nacque la “Trilogia quasi dantesca, sicuramente non salvifica”: «Era un Dante bambino - spiega l’attore - che camminava in medio oriente e raccontava attraverso gli occhi dei piccoli. Con loro, grazie all’esperienza che ci hanno “restituito”, abbiamo scritto lo spettacolo. Era un racconto che univa più lingue, ne usava la musicalità per comunicare, volevamo essere super partes, anzi, volevamo stare dalla parte dei bambini». “Nero Inferno”, il titolo di quella prima opera, è attuale più che mai. Non era stato semplice vincere la diffidenza iniziale. «Ci dissero di stare attenti perché proprio loro ci avrebbero scambiati per israeliani». E dai genitori, allo stesso modo, è stata una fiducia conquistata passo dopo passo, lavorando a porte aperte di fronte a loro. Ne è nato così quell’ «amore grande, che vive tuttora». Molti di quei bambini oggi sono maggiorenni. «Quando un anno fa l’Italia è stata travolta dalla pandemia, tanti mi hanno scritto per chiedermi come stavamo. Adesso - conclude Caravita con una nota di rammarico - io non ho ancora avuto il coraggio di chiedere a qualcuno di loro se stanno bene».