RAVENNA - Nessuna prova concreta è stata fornita circa la presunta irregolarità del conteggio dei voti alle ultime elezioni amministrative: il ricorso presentato al Tribunale amministrativo regionale da Alessandro Baroni, primo dei non eletti nelle fila di Fratelli d’Italia per sole due preferenze in meno rispetto ad Anna Adele Greco (124 contro 126), è stato dichiarato «inammissibile». E così sia il verbale dell’Ufficio centrale elettorale sia la conseguente delibera di proclamazione degli eletti - documenti di cui Baroni chiedeva l’annullamento - restano validi.
Il Tar - si legge nella sentenza di ieri - sottolinea infatti che, in materia di contenziosi sulla regolarità delle elezioni, «non viene meno l’onere della prova, sicché ogni denuncia su asserite irregolarità della sezione elettorale deve essere sorretta da allegazioni ulteriori rispetto alle affermazioni» di chi presenta ricorso. Un passo che non sarebbe stato compiuto da Baroni, il quale, secondo il Tribunale, si sarebbe limitato a presentare «eccezioni generiche» e ad «elaborare congetture sulla possibilità che le operazioni di scrutinio non si siano svolte regolarmente».
Dal canto suo, il candidato non eletto aveva chiesto un accesso agli atti per ottenere i verbali, le tabelle di scrutinio e le schede di Fratelli d’Italia di sette sezioni sulle quali aveva espresso perplessità, «ma il presidente della commissione elettorale - sintetizza il Tar - ha rigettato la richiesta in quanto il proprio ruolo era concluso».
Per ciascuna delle sezioni al centro del ricorso (24, 41, 45, 84, 96, 107 e 127), Baroni ha fornito la propria versione sulle violazioni che, a suo dire, si sarebbero consumate: nella 24, ad esempio, ha sostenuto che sarebbe stata annullata una preferenza in suo favore senza motivazione, «ma – controargomenta il Tar – non ha in alcun modo allegato cosa dimostrerebbe, almeno a livello indiziario, la presenza di irregolarità nello scrutinio».
Discorso simile anche per la sezione 127, riguardo alla quale il candidato di Fratelli d’Italia ha lamentato un «enorme e ingiustificato ritardo» nella chiusura, «ma non è dato comprendere - è la risposta del Tribunale - come tale ritardo dovrebbe ritenersi sintomo di arbitrio o di anomalie nell’attribuzione dei voti ai candidati, in svantaggio del ricorrente».
Insomma, molte le argomentazioni avanzate da Baroni, che però «non ha fornito alcun principio di prova» per sostenerle: e così il Tar non ha potuto che dichiarare l’inammissibilità del ricorso, annullando le spese. Né il Comune di Ravenna né la consigliera Greco, infatti, avevano deciso di costituirsi in giudizio.