Da Ravenna alla Corte Costituzionale. Nuova sentenza “affonda” il Jobs Act

E’ stato licenziato per assenza di offerte di lavoro. Questo almeno secondo quanto sosteneva l’agenzia interinale presso la quale era assunto a tempo indeterminato. Lasciandolo a casa per “giustificato motivo oggettivo”, l’impresa si era però ben guardata dal proporgli uno dei contratti nel frattempo offerti ad altri colleghi con le sue stesse competenze. La bellezza di una cinquantina di occasioni, ma a lui niente.
La causa vinta da un operaio specializzato ravennate contro una tra le più conosciute agenzie per il lavoro italiane non è però l’unico risvolto dell’ennesima controversia tra dipendente e datore. Nel valutare la vicenda, il giudice ravennate Dario Bernardi ha sollevato una questione di legittimità costituzionale che ha fatto breccia, smantellando un “pezzo” del Jobs Act. Il punto sottoposto alla Corte Costituzionale è questo: il decreto legislativo del 4 marzo del 2015 - meglio noto appunto come il Jobs Act di renziana memoria - non prevede il reintegro del lavoratore qualora il “giustificato motivo oggettivo” del licenziamento si riveli insussistente. Al contrario, il giudice può disporre la riassunzione solo per i licenziamenti disciplinari ritenuti infondati.
E così, dal caso specifico di provincia ecco demolito un capitolo della legge, con una sentenza che inevitabilmente avrà ripercussioni sulle cause di lavoro su scala nazionale.
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