Ravenna, correnti e magistratura: lo sfogo del presidente Leoni: "Sono uscito con le ossa rotte"

«Dall’esperienza della mia domanda per Ravenna sono uscito con le ossa rotte. Dopo una iniziale soddisfazione per avercela fatta senza appoggi né altro, sono subentrati amarezza e disincanto. Ora ho fiducia solo nell’onestà dei singoli. Ma dentro questo sistema non credo più a niente». Sono parole pesanti, ma anche coraggiose quelle messe nero su bianco dal presidente del Tribunale di Ravenna, Michele Leoni, in un’intervista a tutto campo sul sistema della magistratura italiana rilasciata al quotidiano milanese Libero. Leoni, da 36 anni in servizio, pur specificando di pensare che la stragrande maggioranza dei colleghi siano persone oneste, definisce la magistratura attuale «un mercimonio», dove «le correnti hanno fagocitato tutto». Spunto della lunga intervista, chiaramente, è il caso Palamara e tutto ciò che è conseguito allo scandalo. E anche su questo punto, Leoni, fornisce una chiave di lettura lucida e dirompente, da magistrato tutto d’un pezzo: «Delegittimare Palamara, come uno che attenta all’onore dei magistrati, non ha senso – dice al giornalista Giovanni Terzi che lo intervista –. Stiamo parlando di un sistema malato dove c’è un pentito. Nei processi di mafia e terrorismo i pentiti vengono ascoltati e poi si cercano i riscontri. Anche in questo caso bisognerebbe fare la stessa cosa».

Il caso Ravenna

Lo stesso presidente del Tribunale, per qualche anno della sua carriera, è stato iscritto a una delle correnti interne alla magistratura, ma poi ha scelto di revocare l’iscrizione. E quando ha fatto domanda per il posto a Ravenna, nel 2017, ormai era libero dagli orientamenti ed è proprio per questo, come traspare dalle sue dichiarazioni, che sarebbero originate le difficoltà per il suo approdo al secondo piano di via Giovanni Falcone. «Avevo fatto il semidirettivo per sette anni – racconta a Libero –, il presidente della sezione assise a Bologna per sei anni, 13 anni di semidirettivo di fatto, avevo pubblicato monografie con Giuffrè e Cedam, fatto insegnamento universitario, avevo esperienza in tutti i settori della giurisdizione, maggiore anzianità. In Quinta Commissione non ebbi nemmeno un voto. Così ho fatto ricorso al Tar, vincendolo con una sentenza che era, a dir poco, tranciante. Ebbene – prosegue –, questo Csm, quello in carica, ha fatto appello. Ho vinto anche in secondo grado. Il Consiglio di Stato, confermando in toto la pronuncia del Tar, ha emesso una sentenza che perentoriamente affermava che io non ero stato minimamente valutato». A quel punto «il Csm ha disposto un’audizione dei due candidati, me e il nominato, che potenzialmente poteva rimettere tutto in discussione. Ho dovuto attendere altri sette mesi prima che il Csm decidesse l’ottemperanza all’ennesima e definitiva sentenza a mio favore. Sono diventato presidente senza alcun appoggio, ma soltanto a colpi di ricorsi».

Le correnti

Leoni, che nella sua carriera ha lavorato al fianco di magistrati come Nicola Gratteri nella lotta alla ‘ndrangheta, ci tiene sempre a precisare che «la magistratura è piena di colleghi straordinari, efficienti e onesti», ma non vuole nemmeno nascondere la polvere sotto al tappeto. «Il sistema oggi non funziona – dice –. Le correnti hanno fagocitato tutto. Per fare carriera bisogna per forza essere supportati da qualcuno». Infine, ai suoi colleghi ricorda: «la giustizia deve essere qualità, non quantità. Si giudicano situazioni umane, persone, nostri simili». E sulla responsabilità civile dei giudici aggiunge: «Chi sbaglia è giusto che paghi»

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