Coronavirus, il sondaggio sul web: grande fiducia nelle autorità sanitarie

Come siamo di fronte al virus? Meglio di come tendiamo a dipingerci. Il dato emerge da un sondaggio online realizzato da Pier Luigi Errani, fino allo scorso anno professore di filosofia e storia al Liceo Classico di Ravenna e consulente informatico. Un sondaggio partito come un «esperimento filosofico» secondo quanto racconta lui stesso ma che ha avuto un successo imprevedibile, raccogliendo in quattro giorni 1.027 risposte. Più del triplo di quanto sperava il docente. Diviso in cinque sezioni (più un’anagrafica) le domande tendono a raccontare il rapporto tra i cittadini, i propri comportamenti e le istituzioni alla luce dell’emergenza Coronavirus. Sebbene non si possa definire un sondaggio fatto con i crismi del rigore scientifico degli istituti specializzati, vale la pena riportare qualche dato che emerge dal questionario. Per chi lo volesse consultare integralmente, si può accedere a questo link. Di seguito, una sintesi dei risultati principali.

Si nota innanzitutto una grande fiducia nella scienza: se i virologi litigano, per il 93,8% dei cittadini è la «dimostrazione che bisogna approfondire». Se uno scienziato discute con un politico, fosse anche il leader preferito, il 98,1% dà ragione al primo. Fin qui niente di strano. Va segnalato che ad avere meno fiducia nella politica sembra essere la fascia di età tra i 26 e i 39 anni: di fronte ad un’affermazione sulla gravità di una pandemia, l’80,5% della popolazione in questo range confronta questa opinione con quella di uno scienziato mentre la percentuale si abbassa (62,5%) tra gli over 60. C’è comunque un quarto delle persone che ha risposto al sondaggio che, di fronte ad uno scienziato che rassicura, sospetta che lo faccia per non scatenare il panico.

C’è poi la questione dei comportamenti personali. Il 71,6% afferma di non aver preso «precauzioni significative (mascherine, guanti)» mentre il 23% si è mosso in questo senso. Il resto del campione si divide più o meno equamente tra le risposte «ne ho prese ma smetterò presto» e «non ne ho prese ma inizierò presto». Ciò che colpisce è la differenza poco marcata tra quelli che abitano nella cosiddetta “zona rossa” (sono il 4,3% del campione, in Italia sono il 7,7) e gli altri. Tra chi abitata nei luoghi più a rischio solo il 30% ha preso precauzioni serie. In compenso, il 92,8% degli oltre mille intervistati è pronto ad adeguarsi alle forti restrizioni alla mobilità che possono presentarsi. L’89,1% delle persone che è stato nelle zone focolaio è pronto a dichiararlo alle autorità. Gli altri non sembrano troppo propensi.

Inaccettabile per il 41,1% la violazione della privacy personale nel caso comparisse il nome di un contagiato. Per le attività economiche il giudizio cambia: solo il 20% ritiene sbagliato il fatto che esca il nome di un locale contaminato. Del resto i danni alle aziende sono un effetto collaterale da accettare per il 95,2% di chi risponde anche se tra questi il 43% sostiene che si debba intervenire con incentivi. Il governo, in definitiva, viene promosso: l’operato è giudicato positivo dal 63,7 per cento del campione. Percentuale che sale al 69,9% per gli enti locali e lievita all’89,6% se si chiede un giudizio dell’operato delle autorità sanitarie. Ma la risposta per un certo verso più sorprendente è l’ultima. «Come ti senti in questo momento?» Il 47,6% risponde di essere «orgoglioso di come tutta Italia si stia dando da fare per affrontare il problema». Il 34,4% si dice contento, al netto delle figuracce, di essere italiano. Solo l’11,3% è dispiaciuto di essere italiano alla luce di «come si stanno comportando gli altri paesi». Il 6,7% dice di vergognarsi di essere italiano.

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