«Viviamo un’escalation di violenza inenarrabile e la cosa peggiore è che non viene preso nessun provvedimento»: a lanciare l’allarme è l’infermiera cesenate 36enne che nell’aprile dell’anno scorso subì una violenta aggressione sul lavoro nel parcheggio del Cau di Cervia. Da quel giorno per lei - a sua tutela non ne verrà rivelato il nome - è iniziato un incubo che non accenna a concludersi: «L’iter conseguente non sta procedendo nel migliore dei modi - racconta -. Attualmente è ancora aperta la pratica di infortunio e sono seguita da un medico dell’Inail. Non sono potuta rientrare nemmeno per svolgere mansioni d’ufficio. E l’azienda sanitaria ignora le mie mail e i miei messaggi che, pur essendo letti, restano senza risposta. Ad esempio, sto chiedendo un appuntamento per parlare delle valutazioni del personale a tempo indeterminato, ma non ottengo riscontri». Un appuntamento necessario per organizzarsi logisticamente, spiega l’infermiera, perché dall’aggressione di un anno e mezzo fa si trova impossibilitata a guidare: «Devo farmi accompagnare ovunque vada. Ora mi sono rivolta ai sindacati». Il sentimento che prevale è l’amarezza: «Ad oggi - sintetizza - l’azienda per la quale lavoro dal 2012 (con concorso a tempo determinato) e poi indeterminato dal 2016, previo ennesimo concorso pubblico; non attenziona il mio gravissimo infortunio. Non solo da un punto di vista burocratico, non rispondendo a mail ed sms inviati settimanalmente e mensilmente in seguito a visita Inail, ma nemmeno morale».
Cinque, finora, gli interventi subiti dalla donna in ragione di una serie drammatica di traumi - anche permanenti - riscontrati in varie parti del corpo, dal volto allo sterno fino agli arti. Per non parlare delle conseguenze sul piano psicologico, con la diagnosi di una sindrome da stress post traumatico. E la situazione dei lavoratori della sanità sta precipitando, secondo quanto riferisce la 36enne, in una spirale addirittura «apocalittica»: «Dall’aprile del 2024 a oggi - fa il punto - sono state presentate 18 querele per aggressioni subite da parte del personale degli equipaggi che fanno riferimento alla postazione a fianco del Cau di Cervia». Il caso più eclatante, avvenuto questa estate, ha dell’incredibile: «Un mio collega - racconta ancora l’infermiera - è stato scaraventato dall’ambulanza in corsa nell’Adriatica da un paziente, tra Cervia e Ravenna».
A detta dell’infermiera, la questione si compone di tre parti fondamentali, in cui il primo posto è ricoperto dalla «disattenzione dell’azienda sanitaria verso personale anche molto fedele e formato»: a questo proposito, la professionista ricorda di essere «prima in regione per formazione» nella graduatoria nazionale. E poi, a monte, c’è «la gravità degli episodi di violenza che si verificano sempre più frequentemente»: un’esperienza che purtroppo ha toccato la 36enne in modo permanente, con un «bilancio di lesioni che cambierà la mia vita per sempre».
E così ora, dopo una recente sentenza della Corte d’Appello di Ancona che ha condannato un’azienda sanitaria a versare a un infermiere oltre 22mila euro a seguito di un’aggressione subita nel pronto soccorso di Ascoli, si fanno largo anche ipotesi risarcitorie: «Questa sentenza impone un obbligo morale di riflessione da parte dei vertici dell’azienda e dei cittadini. - sostiene -. Quale sarebbe il giusto risarcimento per il mio infortunio considerando la perdita di un ruolo operativo ottenuto con master, concorsi e costante impegno a discapito di impegni personali e tempo per il recupero mentale e fisico tra turni massacranti, carenza di personale e budget lesionale definitivo permanente che inciderà per sempre su ogni mia giornata?».