Cervia, le storie del Bar Neri e quegli sgombri pescati da Benito Mussolini

Ravenna

Come potevano gli ignari pesci sapere che li avrebbe pescati il Duce? A distanza di anni tengono ancora banco storie incredibili ma vere. Era il 1977 quando nel ristorante “Al deserto” nasceva “La patacheda”, passata alla storia come l’appuntamento clou di Cervia. Fu per anni la più simpatica, esilarante, ironica e scanzonata festa della città. Vi partecipavano un po’ tutti, salinari, bagnini, muratori, imbianchini, sotto la regia di Bruno “Zimbo” Guidazzi, la genialità in persona. I travestimenti erano vari – da clown, arabi, infermieri, danzatori circensi, villeggianti in costume d’epoca, orchestrali felliniani, scolaretti e marinaretti, oltre alla ragazze pom pom – con un’ampia partecipazione delle mogli. Queste ultime invitavano a cena i protagonisti, e le abbondanti libagioni – innaffiate da altrettanto vino – costituivano l’anteprima dello spettacolo. Poi si passavano intere giornate a preparare l’evento, sempre al bar Neri – chiamato “E’ café d’la scienza e ombelico del mondo” –, quartier generale di ogni impresa. Nel 1997, anno in cui era stata apposta la targa sull’esercizio della piazzetta Pisacane che celebrava la nascita del bar della scienza, si festeggiavano pure i suoi 50 anni e i 300 anni della città. I cervesi buontemponi si travestirono da montanari, con un cartello che portava la scritta di “Basso atesino”, festeggiando l’avvenimento con una settimana bianca. Le loro riunioni, seduti a tavolino sotto un ombrellone davanti al bar, erano un momento religioso. Nessuno li disturbava, ma tutta la città sapeva che lì, in quel cenacolo, nascevano le idee. Fra gli altri vi partecipavano Luciano “Cugat” Battistini (ex macellaio), Piero Poletti (mago dei motori marini), Paolo Dallamora (poi gestore del Cantinone), Sergio “Bucheta” Giunchi (glorioso salinaro), oltre naturalmente a Guidazzi. Il bar Neri chiuse poi alla fine degli anni Novanta, lasciando la città orfana di un vero e proprio patrimonio. La targa fu smontata, la Patacheda era già finita, gli eroi di quella epopea si dispersero chissà dove. Ma gli aneddoti ancora circolano per la città e, insieme alle foto, sono diventati merce rara da conservare gelosamente. Chi li racconta lo fa a bassa voce, quasi avesse un tesoro da nascondere, con gli occhi che ancora brillano di fronte allo splendore di quei tempi. Uno di questi fece scalpore all’epoca e ancora oggi stupisce. Si racconta infatti che Gino “Bull” Guidazzi, personaggio avventuroso e zio di Zimbo, incontrò Benito Mussolini nel 1939, quando il Duce era ospite del Mare pineta. Salito sul moscone a remi del cervese, per Mussolini iniziò una gita in mare, con l’obiettivo di pescare qualche pesciolino. Aveva un costume intero di colore nero, un vistoso cappello di paglia e due occhiali neri che lo rendevano quasi irriconoscibile. A 200 metri dalla costa gettò la lenza e tutto si fermò. Si poteva disturbare il duce mentre pescava? Bull se ne stava dunque in silenzio, ma i pesci non abboccavano, e dopo un’ora Mussolini era vistosamente spazientito. «Come mai non abboccano?», apostrofò il bagnino, che prontamente rispose: «Ma gli sgombri non sanno mica che lei è il Duce».

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