Bagnara (Linea Rosa): «Per molte donne denunciare è difficile ma tutte devono sapere che non sono sole»

Ravenna
  • 18 ottobre 2025

RAVENNA. Dal 2010 è la vicecomandante della polizia locale di Ravenna e dal 1995 presidente di Linea Rosa, associazione che da oltre un trentennio si batte contro la violenza di genere. Alessandra Bagnara è “memoria storica” di una piaga sociale , ma anche una donna in prima linea sul tema dei femminicidi.

Bagnara, cosa ha provato dopo aver saputo di questo ennesimo femminicidio costato la vita a una ragazza di soli 29 anni?

«Per quanto possa sembrare orribile questo caso non è diverso da tutti gli altri femminicidi. Ogni volta che una donna viene uccisa mi sento sopraffare dalla rabbia e mi chiedo se si potesse fare di più per aiutarla».

La persona arrestata come avrà letto, era residente a Cervia. Una città che purtroppo in passato ha già vissuto altri casi di femminicidio (Sandra Lunardini uccisa nel 2012 e Paola Fabbri nel 2015), In questi anni secondo lei qualcosa è cambiato o purtroppo i fatti tragici di Milano ci dicono il contrario?

«Se faccio un bilancio e penso a come veniva descritta la violenza contro le donne 34 anni fa quanto è nato il nostro centro antiviolenza sono certa che molte cose sono cambiate».

Ad esempio?

«Le aspettative stereotipate basate su norme socialmente stabilite per ragazzi e ragazze sono tra le cause principali della disuguaglianza di genere. Influenzano la percezione di sé e del proprio benessere, i modi in cui interagiamo con le altre persone e incidono fortemente sul modo in cui gli individui partecipano all’istruzione, alla formazione e al mondo del lavoro. Affrontare gli stereotipi di genere durante tutto il percorso educativo è fondamentale per garantire a bambine e bambini pari opportunità indipendentemente dal genere».

Che consiglio darebbe a una donna che comincia a vivere situazioni del genere? A chi rivolgersi subito?

«Le donne possono chiedere aiuto chiamando direttamente il centro antiviolenza (Cav) o rivolgendosi a qualsiasi ente, associazione o istituzione che fa parte della rete di sostegno. Tra questi possiamo sicuramente citare le Forze dell’Ordine, i presidi sociosanitari e i servizi sociali. Le donne rivolgendosi a uno o più dei soggetti indicati otterrà l’indicazione di rivolgersi al Cav per essere accolta, ascoltata ed eventualmente ospitata in caso di emergenza».

Le richieste di aiuto vengono tutte accolte?

«Sì tutte, e a mio avviso il solo fatto di aver chiesto aiuto e di aver iniziato un percorso di consapevolezza è già un risultato. Certo può capitare che per molteplici ragioni le donne interrompano il percorso verso l’autonomia ma noi crediamo che comunque l’essere state credute e ascoltate può gettare le basi per migliorare la propria condizione».

Nonostante la “riforma” del codice rosso del 2019, molte donne pensano che non esistano gli strumenti giudiziari per una loro messa in sicurezza e spesso non chiamano le forze dell’ordine temendo di “peggiorare” la situazione. Cosa direbbe a queste donne?

«Le leggi che tutelano le donne e i minori vittime di violenza ci sono e sono adeguate. A mio parare è importante porre invece l’attenzione all’applicazione delle stesse che spesso non è puntuale come dovrebbe.

Cosa fare per superare questo impasse?

«Sarebbe importante a mio avviso incrementare la formazione di avvocati, giudici e magistrati sul tema della violenza di genere in modo da poter predisporre strumenti applicativi all’altezza della problematica che ha una grandissima valenza sociale e culturale. Alle donne mi sentirei di dire di rivolgersi in primo luogo al centro antiviolenza più vicino per poter essere accompagnate anche nel doloroso e difficile percorso giudiziario».

In un territorio come quello ravennate quante richieste di aiuto avete in un anno? E secondo voi (in percentuale) quanti altri casi non vengono invece denunciati?

«Nel 2024 abbiamo accolto nei Comuni di Ravenna, Cervia e Russi 448 donne vittime di violenza. Da indagini effettuate da Istat, a livello nazionale, è emerso che una donna su tre ha subito nella propria vita una qualche forma di violenza e che una percentuale veramente residuale ha denunciato l’aggressore alle Forze dell’Ordine. È evidente che il tipo di violenza che affonda le proprie radici nelle relazioni e nella famiglia è molto difficile da denunciare e che il sommerso è ancora enorme».

Quanto enorme?

«Provi a pensare che le donne che chiedono aiuto ai centri antiviolenza raccontano storie di sopraffazione che durano da oltre 10 anni: questo dato ci dice che ci sono migliaia di donne che ogni giorno in Italia vivono in una situazione di violenza domestica e non hanno ancora chiesto aiuto. Noi lavoriamo ogni giorno per l’emersione del fenomeno e perché le vittime si sentano autorizzate a chiedere aiuto».

E’ possibile lanciare un messaggio di speranza alle donne che subiscono il dramma della violenza di genere?

«Non solo è possibile ma è un nostro preciso dovere! Il messaggio che vogliamo lanciare è che uscire dalla violenza si può. I casi di femminicidio scuotono le coscienze e in alcuni casi gettano le vittime di violenza domestica nello sconforto perché si concretizzano le minacce che sopportano ogni giorno: quello di essere uccise se lasciano il maltrattante. Ma sono anche un campanello d’allarme per molte donne che rivedono sé stesse nelle vittime e che chiedono aiuto per riguadagnare la propria libertà».

c.d.

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