Ravenna, Valery si difende: "Usura? Ho solo aiutato un'amica"

Come sia finita a processo con l’accusa di usura, Valery Maniscalco, proprio non riesce a spiegarselo, dato che all’amica in tre anni avrebbe prestato qualcosa come 13mila euro, ricevendone indietro solo nove. Dopo che alla scorsa udienza aveva preso la parola la sua ex datrice di lavoro alla pasticceria Mimosa, in piazza dei Caduti, raccontando i contorni della denuncia che aveva deciso di sporgere, questa volta è stata la 38enne ravennate - molto attiva nel mondo del volontariato e della moda - a parlare; raccontando una storia completamente diversa da quella per la quale ora si trova imputata.

Una storia che ha inizio con un prestito di 5mila euro che Valery avrebbe fatto all’amica in difficoltà per il pagamento delle bollette e dell’affitto del locale.

«Era il 2014 o il 2015, non ricordo – ha detto ieri in aula – e la titolare venne da me disperata, perché rischiava lo sfratto. Un giorno ci fu un calo di tensione della luce e capimmo che stavano per staccarci tutto. È a quel punto che sono andata a casa in bicicletta a prendere il denaro, 3mila euro, e glieli ho prestati». Qualche settimana dopo la stessa cosa sarebbe avvenuta per il pagamento dell’affitto e Valery avrebbe deciso di sborsare altri 2.500 euro in favore dell’amica. Soldi che la titolare del Mimosa avrebbe restituito solo in parte, «perché mille euro non mi sono mai stati dati».

La denuncia

Tutto questo, però, non riguarda il processo in corso a Valery, perché è nel 2018 che il rapporto tra le due sarebbe precipitato, dando origine alla denuncia. Il bar Mimosa era già stato chiuso, e l’ex titolare della pasticceria nel centro di Ravenna, stando alla versione della presunta parte offesa, si sarebbe rivolta alla ragazza allo scopo di chiederle un prestito di 1.800 euro, per coprire un debito insoluto. A quel punto Valery non si sarebbe però limitata a chiederle indietro il denaro, ma avrebbe preteso continui risarcimenti a scopo di interessi, fino ad arrivare alla cifra di 4.800 euro.

Secondo il racconto reso dall’imputata le cose non starebbero così. «A maggio del 2018 la titolare dell’attività, che per me era una preziosa amica, mi chiede soldi perché il padre e lei rischiavano di essere sfrattati – ha spiegato ieri l’imputata –. Mi ero sempre fidata di lei e quindi ho deciso di prestarle 8mila euro che avevo a casa in contanti, frutto di alcuni risparmi che avevo messo da parte. In cambio lei mi aveva dato quattro assegni a garanzia».

«Chiedo giustizia»

Valery non smentisce di aver chiamato più volte la donna per chiederle il denaro, ma non a scopo di interessi, bensì «per riavere indietro quanto le avevo prestato, dato che ad un certo punto mi ero trovata in difficoltà». A domanda del pm sul perché avesse continuato a darle del denaro, nonostante la prima volta non glielo avesse restituito tutto, la 38enne ha risposto in questo modo: «per amore a volte si fanno cose stupide. Ma ora chiedo giustizia per me».

Perché la titolare dell’ex Mimosa l’avrebbe allora denunciata? La domanda è lecita, ma Valery ha risposto di non sapersi dare una spiegazione, scoppiando a piangere al termine di una testimonianza drammatica. «Di quel denaro mi ha restituito cinquemila euro e me ne dovrebbe altri tremila».

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