Ravenna, travolto dopo la lite. La vittima: "Sogno ancora i fanali"

Un gesto con la mano, come per mandare a quel paese l’automobilista col quale pochi minuti prima aveva avuto un alterco. Non poteva immaginare che sarebbe bastato quello per infiammare lo sconosciuto al volante, e vederlo fare inversione per poi puntarlo e investirlo. A raccontare ieri in tribunale quanto accaduto la mattina del 22 novembre dell’anno scorso nel piazzale dell’area di servizio di via Trieste, è stato il ragazzo travolto, ravennate di 40 anni. Gli ci sono voluti cinque mesi per rimettersi in piedi e tornare al lavoro. E ora, per quel gesto, è chiamato a rispondere di tentato omicidio e lesioni personali aggravate Simone Marchiselli.

Il sorpasso azzardato e l’alterco

Il processo nei confronti del 37enne di origini bolognesi si è aperto ieri davanti al collegio penale di Ravenna presieduto dal giudice Cecilia Calandra (a latere Federica Lipovscek e Cristiano Coiro). A raccontare quel giorno «da film» è stato chiamato proprio il ragazzo investito, costituitosi parte civile con l’avvocato Giovanni Scudellari. Erano circa le 6.30, e stava andando al lavoro con la sua Fiat 500 alla Compagnia Portuale, percorrendo via Mattei verso il ponte mobile. «Ero arrivato a ridosso del restringimento stradale che precede la rotonda Dei Mosaicisti, quando ho notato un’Opel Meriva giungere dietro di me ad alta velocità e sorpassarmi tagliandomi la strada. Per evitare l’impatto, ho frenato e mi sono fatto a destra». La sua reazione a quella manovra azzardata - ha ammesso il ragazzo - non è stata conciliante: «Ve’ sto scemo...». Parole che non sono sfuggite conducente appena passato. «Per due volte ha inchiodato come per farsi tamponare». L’alterco è degenerato più avanti in via Trieste. «Vedendolo rallentare come per accostare ho cercato di superarlo mettendo la freccia, ma improvvisamente mi ha tagliato la strada nuovamente, obbligandomi a immettermi nell’area di servizio per evitare lo scontro».

Puntato con l’auto

«Ho pensato fosse ubriaco, o avesse un conto in sospeso con qualcuno - ha aggiunto la vittima -. Sono sceso dall’auto, volevo dirgliene quattro. Quando ho visto che se ne stava andando ho alzato il braccio: “guarda te sto deficiente che non si ferma neanche”». E’ stata l’ultima frase pronunciata dal 40enne. Perché all’istante il conducente sconosciuto ha fatto inversione. Al fischio degli pneumatici sull’asfalto «ho visto i due fanali che mi puntavano, me li sogno ancora la notte. Sono rimasto pietrificato ed è stato un attimo: d’istinto ho fatto in tempo a saltare buttandomi sul cofano con il fianco del corpo». Poi il vuoto.

Il ragazzo ha perso i sensi. Quando ha aperto gli occhi, sopra di lui c’erano il titolare del bar e una dipendente, prima del trasporto d’urgenza all’ospedale Bufalini di Cesena. Dopo l’arrivo della polizia locale, quando la dinamica è stata chiara, è stato richiesto anche l’intervento della Questura. Gli agenti intervenuti quel giorno, hanno riferito la reazione del 37enne poco prima dell’arresto, messa poi a verbale: sconvolto, non faceva che ripetere di avere commesso un grave errore. In sede di interrogatorio, difeso dagli avvocati Francesco Clemente e Salvatore Costantino Belvedere, aveva sostenuto di avere reagito in quel modo per paura. Versione che lo ha successivamente accompagnato fino al rinvio a giudizio.

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