Ravenna, scarcerato il 52enne curdo del Pkk: “Non è un terrorista”

Arrestato una decina di giorni fa in un hotel di Milano Marittima dove era andato in vacanza con la famiglia, ora Yildirim Kaya, 52enne turco di etnia curda residente in Germania, potrà tornare a casa nella città tedesca di Essen: così ha deciso ieri la Corte d’appello di Bologna, che ha mitigato ulteriormente la misura cautelare dell’obbligo di dimora a Rimini – dove un amico si era offerto di ospitarlo –, disposta pochi giorni fa, ordinando la scarcerazione dell’uomo, che si trovava in custodia nella casa circondariale di Ravenna. Al momento dell’arresto, lo scorso 18 luglio, il profilo di Kaya era sembrato quello di un pericoloso terrorista ricercato da 23 anni in tutto il mondo: su di lui pendeva un ordine di cattura internazionale per persuasione e istruzione di un membro di organizzazione terroristica a compiere un attentato dinamitardo e un tribunale turco lo aveva condannato all’ergastolo in contumacia per la sua appartenenza al Pkk, organizzazione curda in conflitto con Ankara e impegnata nella lotta al terrorismo islamico. Per i giudici felsinei, però, il 52enne non meritava nemmeno di restare in carcere, anche perché non vi sarebbe «un sufficiente grado di sicurezza» circa «l’esito positivo della procedura» di estradizione in Turchia. Motivo? Il Paese guidato da Erdogan è stato, scrivono i giudici, «oggetto di numerose pronunce interne e sovranazionali nelle quali si stigmatizzavano le reiterate violazioni dei diritti umani fondamentali», anche in merito allo svolgimento dei processi. Tanto più che Kaya, come sottolineato nella documentazione presentata alla Corte d’appello dagli avvocati dell’uomo, Antonio Buondonno e Mario Antonio Angelelli, gode dal 2001 dello status di rifugiato politico. Sarebbe, insomma, uno dei tanti curdi perseguitati dal regime di Ankara e, se dovesse farvi ritorno, potrebbe persino trovarsi a rischiare la vita. La Corte aveva inoltre già escluso il pericolo di fuga: «Kaya è sì un cittadino turco – spiega l’avvocato Angelilli, che da anni segue questioni legate a Kurdistan e Pkk ed è esperto di diritto penale internazionale – ma sposato con una donna tedesca, con figli tedeschi, e vive in Germania da 24 anni. Lo stesso Stato tedesco aveva ritenuto opportuno non estradarlo quando fu escusso in un processo nel 2010». I rischi connessi con un ritorno in Turchia, conferma il legale, sarebbero troppo alti: «Erdogan aveva aperto un dialogo con il Pkk tra 2013 e 2014 – racconta – ma dopo il golpe (il tentato colpo di stato militare del luglio 2016, ndr) c’è stato un giro di vite». I tribunali turchi si sono riempiti di «giudici yes man» e svuotati di garanzie, mentre nel Paese è montato un «nazionalismo fortissimo». E così la Corte d’appello ha deciso. Prima la scarcerazione e l’obbligo di dimora a Rimini e ieri un secondo, decisivo ridimensionamento: la restituzione del passaporto.

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