Ravenna, picchiata in casa per sei anni dal marito medico

RAVENNA - Un “assaggio” di come sarebbe stata la vita coniugale una volta sposati gliel’ha dato il giorno stesso del matrimonio. Lui era ubriaco dopo i numerosi brindisi, e la sposa gli aveva solo chiesto di controllarsi; appena giunti in camera da letto l’aveva punita infilandole la testa dentro il wc. Quel giorno l’affascinante medico conosciuto e frequentato durante il fidanzamento si era trasformato nell’uomo che nei successivi sei anni sarebbe stato un marito-padrone. È una totale sudditanza quella raccontata ieri in aula davanti al giudice Andrea Chibelli dalla vittima, moglie di un 45enne straniero difeso dall’avvocato Veronica Valeriani, nel corso del processo che si è aperto con l’accusa di lesioni aggravate e maltrattamento in famiglia. Vessazioni fisiche e psicologiche che la donna ha sopportato per paura e per amore dei figli fino al luglio 2019, quando ha deciso di denunciarlo.

Non un paio di episodi, ma decine di ricorrenti scatti d’ira dettati dalla gelosia. La vittima ne ha parlato per oltre un’ora ieri mattina, costituendosi parte civile con l’avvocato Sabrina Santandrea. I coniugi avevano scelto l’Italia come Paese per vivere, sfruttando la doppia nazionalità della donna. Stabilitisi nel Faentino, le cose erano andate bene per alcuni anni, per poi degenerare in particolare dopo la nascita dei figli. Era bastato fraintendere un apprezzamento su Facebook, nel 2016, per scatenare nuovamente la collera dell’uomo: «Ero incinta al quinto mese, lui mi legò a una sedia con un lenzuolo e iniziò a schiaffeggiarmi e a prendermi a pugni».
Il volto, però, cercava di evitarlo: «Quando mi picchiava, lo faceva dal collo in giù». Ogni tanto, però, qualche colpo partiva anche in faccia. La descrizione è quella di un naso rotto, subito “aggiustato” dal marito-medico-picchiatore: «Ho sentito un gran caldo e ho visto che il naso si gonfiava e lui l’ha messo a posto».

Le discussioni erano continue. Il rimedio per lividi e stress lo trovava lui, spalmando creme su braccia e gambe per coprire i segni delle percosse o somministrando pillole alla moglie per calmare l’ansia. E ancora: «Avevo bisogno dell’aiuto di mia madre per accudire il bambino, volevo iniziare a lavorare, ma lui non aveva piacere che la vedessi né che frequentassi le mie amiche». Per farglielo capire era bastato un ceffone, incurante che la donna avesse il figlioletto in braccio: “Chiama tua mamma che picchio anche lei”, le aveva detto. L’aveva poi accantonata contro il muro e quando la vittima, implorandolo di smetterla, aveva minacciato di denunciarlo, lui le aveva passato la lama, incalzandola affinché si difendesse, dicendole “Ti faccio diventare io la vittima”. Aveva poi afferrato il manico di una scopa, continuando a percuoterla.
Agli attacchi d’ira seguivano le pretese di natura intima, che la consorte assecondava «perché ero terrorizzata». Era accaduto anche di fronte ai figli nel letto; lui l’aveva alzata per il collo, strappandole la biancheria.

Tra i testi sentiti ieri, ha deposto anche la receptionist di un residence nel quale la coppia si era trasferita nell’ultimo periodo. Ha riferito di un episodio che ha preceduto la denuncia sporta nel luglio 2019; la dipendente si ritrovò in ufficio la straniera in vestaglia, accovacciata accanto alla scrivania, terrorizzata. Di lì a poco arrivò il marito che le ordinò di salire in camera. Ubbidendo, lei si alzò la veste mostrando i lividi. Alla luce di quest’ultimo fatto, nel novembre di quell’anno il giudice per l’udienza preliminare ha emesso nei confronti dell’uomo il divieto di avvicinamento.

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